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Il Covid ha rimescolato la geografia dello sviluppo italiano. Sebbene tutte le province abbiano chiuso il 2020 con il segno meno davanti al dato sul valore aggiunto, a soffrire di più sono stati: il Nord - 7,4%, le aree a maggiore vocazione industriale -7,9% (in particolare dove insistono i sistemi della moda e della cultura), quelle a più elevata presenza di piccole imprese -7,5% contro una media nazionale del -7,1%.
Sul fronte opposto, pur in un contesto di generale contrazione, migliore capacità di resilienza hanno mostrato, non senza sorpresa, le province del Sud (- 6,4%) con 8 province su 10 che mostrano riduzioni più contenute, in particolare dove c’è una concentrazione più alta di imprese che investono nel Green o che sono caratterizzate da una forte importanza della Blue economy. E con una più elevata incidenza della pubblica amministrazione.
E’ quanto emerge dall’analisi realizzata dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere sul valore aggiunto provinciale del 2020 e i confronti con il 2019, illustrata da Andrea Prete, Presidente nazionale di Uniocamere e da Giorgio Mencaroni, vice Presidente di Unioncamere e Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria.
“L’effetto Covid non ha risparmiato alcuna provincia italiana, ma senza la tenacia delle nostre imprese, unita ai provvedimenti del governo, le perdite del valore aggiunto che abbiamo registrato sarebbero state ben più importanti. E anche il sistema camerale con le iniziative messe in atto, ha certamente contribuito a contenere i danni causati dal lockdown, restando vicino alle imprese e ai territori” ha sottolineato il Presidente di Unioncamere Prete.
Dall’analisi del Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere sul Valore aggiunto: a Roma e Milano si produce il 19,7% dell’intera ricchezza del Paese (+2 punti percentuali rispetto al 2000), con le prime 20 province in cui si concentra il 55,4% di tutta la ricchezza prodotta.
“Se Milano si conferma prima nella graduatoria delle 107 province italiane con un valore aggiunto pro-capite di 47.945,00 euro all’anno – evidenzia il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria - la provincia di Perugia si colloca al 52 esimo posto - valore aggiunto di 23.084,00 € l’anno e Terni al 60mo, 21.638,00 € medi annui”.
“Il divario che ci separa dal top è enorme. In termini assoluti Milano realizza un valore aggiunto pro capite più che doppio rispetto a Perugia e Terni (47.000,00 contro 23 e 21mila). In compenso però siamo abbastanza vicini alla media nazionale di 25.058,00 euro annui”, rileva il Presidente Mencaroni.
Componendo i dati di Perugia e Terni sul valore aggiunto:
Il valore aggiunto dell’Umbria e delle province di Perugia e Terni, 2020 su 2019:
- 6,6% Perugia, - 6,5% Terni. L’Umbria a – 6,6%.
Come ampiamente previsto, flessioni molto dure nell’anno Covid 2020.
L’Umbria e province di Perugia e Terni tuttavia, fanno meglio della media nazionale, scesa fino a – 7,1%.
Positivo il raffronto con il resto del Centro Italia, che nel suo complesso vede un taglio del valore aggiunto 2020, pari a - 7,3%, lo 0,7% più in basso di quello umbro (-6,6%)
La situazione nel Centro Italia: Lazio – 6,3%, Umbria – 6,6%, Toscana – 8,3%, Marche – 9,4%.
Tra le province del Centro, Perugia e Terni si collocano tra Viterbo, la migliore con -1,7% e Macerata la peggiore – 12,5%.
Su scala nazionale, più penalizzati i territori industriali di piccola impresa. Le economie territoriali a più alta presenza di imprese con meno di 50 addetti, che sono la dorsale del nostro sistema Paese, hanno registrato le perdite più consistenti di reddito prodotto, -7,5% fra il 2019 e il 2020.
Green e Blue economy aiutano ad arginare la crisi.
L’economia blu e verde si sono rilevate armi importanti in diversi territori per limitare i danni della pandemia sulla ricchezza prodotta. Sei province su dieci con la quota maggiore di imprese che hanno fatto investimenti green nel periodo 2016-2020 hanno retto meglio della media nazionale.