Articolo vincitore Raccontami l'Umbria 2024 nella sezione Umbria del gusto


L'Italia è la terra promessa degli amanti del tartufo e la richiesta globale è enorme. Tuttavia, il tubero aromatico sta diventando sempre più raro in natura, in un mondo in cui il desiderio di delizie, la febbre da caccia e gli imbrogli vanno di pari passo.

Di glamour nemmeno una traccia: Michele Filosi si butta a terra per assicurarsi che il protagonista indiscusso della gastronomia stellata internazionale emerga dal suolo tutto intero. Nel punto in cui Argo, il cane, annusava euforico, grattando via il sottobosco spinoso, ora i due scavano insieme. I polpastrelli nudi di Filosi scavano delicatamente centimetro per centimetro. Infila febbrilmente il naso nel buco nella terra e lancia un grido estasiato. Ancora una volta, Argo ha rintracciato il profumo più seducente del mondo: l'odore del tartufo bianco. Pochi minuti dopo, Filosi tiene tra le mani un grumo infangato. Il tartufo, il cui nome scientifico è Tuber Magnatum Pico, pesa circa 100 grammi e in questo giorno di novembre in borsa ha un valore di 350 euro. Non si diventa grandi cercatori di tartufi senza una cane eccezionale, dice il 38enne e lascia che l'esuberante Argo gli lecchi il naso. Approssimativamente, stima il suo valore di mercato a 30.000 euro - una stima forse un po’ alta. Filosi ha fondato la start-up Seven con il fratello Andrea a Monteleone d'Orvieto, nell'Umbria centrale, nel 2016. Definisce la formula del successo nel settore dei tartufi così: un 33% dipende da lui, un 33% dipende dal cane e un altro 33% dalle condizioni naturali del luogo. L'1% è fortuna. È in gioco anche tanta adrenalina. La vita non è facile, dice Filosi. Deve rendersi invisibile, come un fantasma. Parcheggia l'auto da una parte e poi va a piedi, in modo che nessuno possa spiarlo e scoprire i suoi posti segreti, e per evitare che un concorrente elimini il cane con un'esca avvelenata - l'incubo di tutti i tartufai. “Il tartufo bianco è un affare. Porta soldi, molti soldi”, dice. La battaglia per trovarlo è dura.

Molti turisti vogliono andare a caccia di tartufi


I fratelli Filosi appartengono a una nuova generazione in questo settore. Vivono al confine tra Umbria e Toscana, in una zona il cui paesaggio collinare e forestale è ricco di tartufi. Terminata la carriera di calciatore professionista, terza divisione, ala destra, Andrea si è formato come sommelier ed è tornato nella cittadina medievale di Monteleone d'Orvieto. Lì, suo fratello cercava tartufi da quando aveva nove anni. Insieme hanno aperto un piccolo ristorante di tartufi. 40 posti a sedere, 400 vini in carta, affacciato direttamente sulla strada, senza vista. Ma ben frequentato. “Mario Draghi viene a cena da noi”, dice Andrea. Anche l'attore britannico Colin Firth è tra gli ospiti abituali. Il ristorante è a soli due passi da Città della Pieve, che domina la Val di Chiana sulla collina opposta e dove si trovano le case di campagna di molte celebrità. Inizialmente, i fondatori di Seven offrivano ai vacanzieri la possibilità di partecipare alla caccia al tartufo dopo il pasto. Ora però gli affari vanno in direzione opposta. “I turisti prenotano un'esperienza di caccia al tartufo con noi e vengono in Umbria appositamente per questo”, dice Andrea. Sono al completo per settimane. Anche il commercio prospera. In fondo al ristorante, accanto all'ingresso della cucina, è in vendita un cesto di tartufi color ocra. L'esemplare più grande vale 1200 euro. Si paga in contanti. Non appena si lascia Monteleone d'Orvieto e si rivolge l'attenzione al mercato internazionale, il romanticismo scompare. Il fascino del tartufo è in piena espansione in tutto il mondo. L’esclusivo prodotto di nicchia è diventato oggetto di desiderio globale. I ristoranti stellati, i commercianti, i cercatori: tutti aumentano la pressione sui cani da tartufo e cercano modi per soddisfare la domanda. I tartufi sono “la più grande ossessione culinaria del mondo”, scrive l'autore britannico di libri di cucina Rowan Jacobsen. Del suo aspetto esteriore, nulla farebbe pensare al lusso. I tuberi assomigliano più a patate striminzite che a gioielli culinari. Ma il fungo che cresce sottoterra non è solo uno dei prodotti commestibili più costosi della natura. È anche mistero, emozione e passione. L'entusiasmo dei buongustai ha origine nel XIX secolo. Nel 1834, il gastrosofo francese Jean Anthèlme Brillat-Savarin nobilitò il tartufo come “diamante della cucina”. Gioachino Rossini, compositore d'opera italiano e noto gourmet, lo elogiò chiamandolo il “Mozart dei funghi”. All'inizio del XXI secolo scoppiò una vera e propria mania del tartufo. In occasione della fiera del tartufo tenutasi a novembre nella cittadina piemontese di Alba, il tartufo più costoso è stato venduto all'asta nel castello di Grinzane Cavour a un imprenditore di Hong Kong, che ha pagato 130000 euro per 1004 grammi. Il denaro è stato donato in beneficenza. Gli italiani si sfregavano le mani: non poteva esserci pubblicità migliore per il più esclusivo fiore all'occhiello della loro gastronomia. Da tempo, i corrieri trasportano la preziosa merce in tutti il mondo. Ma può funzionare tutto questo? Soprattutto trattandosi di un prodotto raro e sensibile che è un miracolo dell'evoluzione? È importante capire che l'aroma ammaliante del tartufo non è solo il suo principale punto di forza. È fondamentale per garantire la sopravvivenza della specie. Il corpo fruttifero del fungo cresce in simbiosi con le radici di alcune specie arboree, a vantaggio di entrambi i partner, che si scambiano attivamente le sostanze nutritive. Poiché il suolo è un luogo sfavorevole alla diffusione delle spore, i tartufi hanno sviluppato un bouquet di profumi irresistibili per gli animali, che possono essere percepiti anche in superficie. Cinghiali, tassi, topi, ma anche vermi e larve ne vanno ghiotti. Dopo aver mangiato, si assicurano che le spore fungine si disperdano nell'ambiente circostante attraverso le loro feci. Nel Rinascimento, il prezioso fungo venne nuovamente riconosciuto anche dall'uomo: gli agricoltori notarono che i maiali rintracciavano delle strane “patate puzzolenti” nei boschi, divorandole avidamente. Così venne riscoperto il tartufo, molto apprezzato dagli antichi romani come il più aromatico degli alimenti naturali e poi disapprovato nel Medioevo come roba del diavolo per il suo presunto effetto afrodisiaco. Delle 182 specie di tartufo presenti in tutto il mondo, solo poche sono di interesse culinario. L'Italia è la patria delle due specie più pregiate: il Tuber Melanosporum, il tartufo nero, tradizionalmente presente anche in Francia e oggi coltivato dai tartufai di molti paesi. E la star assoluta, il Tuber Magnatum, il tartufo bianco, che cresce solo spontaneamente nonostante i grandi sforzi della ricerca. E solo in alcune zone dell'Italia e dell'Europa orientale. Il mito è vivo. Ma l'agitazione cresce. “Da un lato c'è stato un forte aumento dell'interesse per i tartufi, dall'altro rischiano di scomparire”, afferma Domizia Donnini. Le tartufaie naturali in Italia stanno scomparendo. Il boom della domanda contrasta con un significativo calo della produzione. Inquinamento ambientale, riscaldamento globale, siccità - l'uomo sta rendendo la vita sempre più difficile all'ambito diamante. L’agronoma Donnini conduce ricerche presso l'Università di Perugia, capoluogo della regione umbra del tartufo. L'Abbazia benedettina di San Pietro, oggi sede della sua facoltà, fu fondata nel 966 e nel Medioevo era la più grande proprietaria terriera dell'Umbria. Donnini lancia un avvertimento: il futuro del tartufo non è solo in pericolo dal punto di vista ecologico, ma è anche minacciato dallo strapotere del mercato. “La pressione economica fa passare tutto il resto in secondo piano”, afferma. Sempre più tartufai vanno a caccia con cani sempre più addestrati.

Non esistono cifre ufficiali sul mercato del tartufo


“Siamo diventati schiavi della nostra attività”, dice Alino Rossi. È nel commercio dei tartufi da dieci anni. Rossi descrive ciò che accade in Italia durante l'alta stagione, tra l'inizio della fiera del tartufo in ottobre e il picco della domanda alla fine dell'anno, come una vera e propria follia: “In quel periodo, impazziscono tutti”, dice. Tutto il mondo è incollato al cellulare per scoprire dove si possono trovare i tartufi, di che qualità sono, quanto costano e come procurarseli. Questo consentirebbe di vendere merci a basso costo dall'estero ai clienti smaniosi sulla piazza principale di vendita, l’Italia. Anche gli addetti ai lavori riescono a malapena a capirci qualcosa in questo business che va a ritmi velocissimi. “Il mondo dei tartufi è confuso e nebuloso”, dice Rossi, originario di Cagli, vicino a Urbino nelle Marche, che di mestiere è cercatore di tartufi, commerciante e chef. La settimana scorsa, Rossi ha venduto un Tuber Magnatum bianco a 1.600 euro al chilo. Su Instagram vede che nei grandi ristoranti stellati il prezzo è salito a 10.000 euro. “A New York una grattata di cinque grammi sulla pasta ha un costo aggiuntivo di 60 euro a piatto”, dice. Non esistono cifre ufficiali sul mercato del tartufo. Produzione, fatturato, cercatori ufficiali? Il Ministero dell'Agricoltura italiano, le autorità di controllo e la polizia forestale non hanno dati a disposizione. L'ufficio statistico dell'Istat registra i tartufi insieme agli altri funghi come un'unica categoria. L'Italia rimane il polo internazionale del tartufo. Anche se ha ceduto il suo ruolo di paese produttore alla Spagna e alla Francia, perché le varietà di tartufo nero sono ora coltivate su larga scala. Ma una cosa è certa: il business dei tartufi è praticamente impossibile da controllare. A Perugia, Angela Savino dirige il dipartimento antifrode del Ministero dell'Agricoltura. Da cinque anni la scienziata osserva le crescenti importazioni di tartufi stranieri. Inizialmente le merci di contrabbando provenivano principalmente dalla Cina, ora dall'Europa orientale. L'origine cinese è facilmente dimostrabile al microscopio di laboratorio, poiché i funghi quasi insapori provenienti dall'Estremo Oriente non appartengono a nessuna delle specie che crescono in Italia. Questo non è possibile con i tartufi provenienti dalla Bulgaria o dalla Romania. “Tuttavia, i tartufi dell'Europa orientale sono di solito meno pregiati, perché il fungo trae il suo sapore dalle piante con cui ha vissuto in simbiosi”, spiega Savino. La polizia forestale è ora in grado di intercettare le importazioni illegali. Il 28 luglio, i carabinieri hanno sequestrato 2,2 tonnellate di tartufi estivi provenienti da Bulgaria e Romania in un autogrill nei pressi di Avezzano, in Abruzzo. Valore di mercato: 170000 euro. La merce era in viaggio verso un'azienda di trasformazione senza i necessari certificati di provenienza. Al vertice del settore c'è Olga Urbani, la più grande commerciante di tartufi al mondo. È mezzogiorno di una soleggiata giornata di dicembre. La donna, dall'aspetto elegante, siede in un box di vetro accanto all'edificio degli uffici, al bancone del ristorante aziendale, e mangia un’insalata di lattuga. Urbani controlla oltre il 60% del mercato globale. Nel 2023 ha acquistato 270 tonnellate di tartufi, il quadruplo del suo principale concorrente. Il 40% proviene dall'Italia, il 60% da altri Paesi europei. Fatturato annuo: 90 milioni di euro. A pochi passi da noi, nel laboratorio di ricerca di Urbani è in atto una rivoluzione. Un giovane team sta lavorando a un dispositivo che, dopo quattro anni di raccolta dati, decifrerà il codice genetico di un tartufo e ne determinerà così l'origine. “Sarà un grande tormento per i tartufai di tutto il mondo”, annuncia Urbani. È giunto il momento di demistificare la leggenda. Olga Urbani appartiene alla quinta generazione di una dinastia imprenditoriale umbra. La storia della famiglia inizia 171 anni fa: il trisnonno Costantino Urbani pose le basi del commercio del tartufo nel 1852 con l'azienda Urbani Tartufi. Invece di scambiare i funghi con farina o olio, iniziò a spedirli in Francia in scatole di latta sigillate per venderli lì. Da Scheggino, un piccolo paese della Valnerina, il tartufo ha conquistato il mondo. Oggi Urbani esporta l'80% della sua produzione in 75 Paesi. Gli Stati Uniti sono il principale mercato di vendita. “Il nostro problema è che ci sono sempre meno tartufi”, dice Urbani. Anche quest'anno l'inizio della stagione è stato disastroso. Le temperature estive hanno rovinato i tartufi bianchi in ottobre. La leader di mercato vede nell'agricoltura digitalizzata una via d'uscita dalla crisi. Indica la collina sul lato opposto. Lì, suo figlio ha piantato una coltura di tartufi accanto alla sua casa, con alberi le cui radici sono state inoculate con le spore del tubero nero. Sensori e microchip nel terreno ottimizzano la crescita e la resa di questo fungo simbiotico. “L'anno scorso il terreno ha reso 100.000 euro di tartufi neri invernali”, dice Urbani. Il figlio di Urbani, Francesco, oggi pianta 150.000 alberi all'anno con la sua start-up Truffleland e garantisce ai nuovi tartufai di acquistare il loro raccolto per 20 anni. Il suo prossimo obiettivo: vuole vendere i diritti di emissione di CO2 derivanti dai progetti di riforestazione. A Scheggino, il timore che il prezzo del tartufo possa essere messo sotto pressione non c’è. Secondo Olga Urbani, non sarà mai possibile eguagliare l’offerta naturale precedente. Anche Alino Rossi di Cagli sta battendo nuove strade. Un anno fa è uscito dal mercato. Una tragedia aveva cambiato la sua vita. Rossi ha perso la casa e l'azienda agricola nell'alluvione delle Marche del 15 settembre 2022. Prima era un acquirente in mezza Europa, dalla Spagna all'Europa orientale, ma poi ha rivolto la sua attenzione al suo paese d'origine e ora lavora nel centro Italia con 36 tartufai, tre dei quali sono professionisti a tutti gli effetti. Come Luca. Ha parcheggiato la sua Passat bianca vicino a Cagli, protetta da un muro di cinta. Nelle due scatole di plastica sul sedile del passeggero ci sono quattro tartufi bianchi, separati per categoria, puliti e avvolti in carta da cucina. Il loro profumo è indescrivibile. I due hanno concordato in anticipo il prezzo al chilo di 1600 euro. Il giorno seguente, la merce fresca viene inviata a un intermediario vicino a Monaco. Probabilmente lo venderà per 3.500 euro, dice Rossi, annusando ancora una volta il tubero.

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