GUBBIO -- Uno dei tanti tesori sconosciuti d'Italia, le Tavole Eugubine di bronzo offrono uno sguardo raro e affascinante sul mondo dimenticato della civiltà preromana dell'Italia centrale. Le straordinarie Tavole Eugubine sono appese alla parete di una sala del Palazzo dei Consoli, imponente edificio del XIV secolo affacciato sulla Piazza Grande di Gubbio, in Umbria. Inspiegabilmente, sono poco conosciute e non rientrano nella lista dei “must” del turista medio sulle tracce dei capolavori d'arte per i quali è famosa la regione Umbria.

Eppure, le sette tavole di bronzo, datate tra il V e il I secolo a.C., destarono stupore quando furono scoperte per la prima volta tra le rovine del teatro romano di Giove nel 1444. Con ammirevole lungimiranza, il Comune di Gubbio le acquistò, descrivendole nell'atto di acquisto come aventi “lettere diverse, sia latine che misteriose”. Ma dovettero passare circa cinque secoli prima che queste “misteriose” iscrizioni venissero finalmente e completamente decifrate.

Le Tavole Eugubine (note anche come Tavole Iguvine) sono incise su entrambi i lati in due lingue: una in latino antico e l'altra nella lingua perduta parlata dagli Umbri, un popolo preistorico che abitava l’Italia centrale, dalla zona montuosa dell'Appennino e della Valle del Tevere fino alla costa adriatica, prima della conquista romana. Così, come la più famosa Stele di Rosetta ha permesso agli esperti di sbloccare la chiave della lingua dell’Antico Egitto, le Tavole Eugubine hanno aperto la porta di un passato misterioso, consentendo agli esperti di penetrare nei segreti di una lingua risalente all'Età del Bronzo, acquisendo così una ricchezza di conoscenze sui rituali sacri, le leggi e le pratiche legali svolte per secoli prima della nascita di Cristo.

La Stele di Rosetta, risalente al 196 a.C., fu scoperta nel 1799 a Rashid (Rosetta) dai soldati francesi durante la campagna napoleonica ed è uno dei reperti più preziosi e visitati esposti al British Museum di Londra. Una delle tre iscrizioni era in greco antico e ciò ha permesso agli esperti di decifrare sia la scrittura demotica sia la scrittura geroglifica sacra usata dagli Antichi Egizi. Il testo contiene un decreto un po' banale che celebra l’anniversario dell'incoronazione del faraone Tolomeo V Epifane. Le tavole di bronzo di Gubbio, invece, descrivono minuziosamente i riti e le usanze sacre di una civiltà perduta da tempo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Le tavole contengono la descrizione delle pratiche religiose portate avanti per circa cinque secoli da una coalizione di città-stato guidate dalla città centrale di Iguvium (l'odierna Gubbio). Le placche sono state create in periodi diversi e presentano misure diverse. Per comodità, sono state numerate dalla I alla VII e si ritiene che la III e la IV siano le più antiche.

Complessivamente, le tavole contengono 4.365 parole iscritte su 12 lati. I testi più antichi sono in umbro, e scritti con l'alfabeto etrusco, mentre le iscrizioni successive utilizzano caratteri latini. Questo aspetto ha generato una grande confusione iniziale e il compito di decifrarle è stato ulteriormente complicato dal fatto che alcune iscrizioni si leggono da destra a sinistra, mentre altre sono scritte da sinistra a destra. Gli Umbri erano un popolo italico sottomesso dai Romani tra il IV e il II secolo a.C. Erano leggendari anche in epoca romana, quando erano considerati il popolo più antico della penisola italiana e i sopravvissuti al Diluvio universale. In precedenza, i testi sacri erano conservati su altri materiali meno elaborati, come la pergamena, la stoffa o il legno, e gli esperti ritengono che la ricorrente minaccia di invasione romana abbia costretto gli Umbri a documentare le loro credenze e usanze in questa forma metallica più resistente.

Le Tavole dimostrano che gli Umbri, lungi dall'essere un popolo tribale primitivo, vivevano in una società altamente organizzata che, per molti aspetti, ha posto le basi di quella che noi consideriamo la civiltà moderna. Le tavole II e V riportano il rituale del Patto della Decade, riferito alla confederazione locale di 10 città-stato (che in seguito divennero venti) legate da un'alleanza che disciplinava gli accordi commerciali, i tributi e le tasse, nonché le credenze e le pratiche religiose comuni. Il rapporto con gli dei era disciplinato da rigidi rituali volti a ottenere e mantenere il loro favore e a garantire la prosperità e il benessere della comunità. Questi rituali erano presieduti da una confraternita di 100 membri chiamata Fratelli Atiedii (dal nome della città madre di Atiedio, oggi Attiggio, vicino a Fabriano) sotto la supervisione di un Sommo Sacerdote che, di solito, ma non sempre, era nominato tra i loro ranghi. È interessante notare che questo personaggio poteva essere richiamato all'ordine se non era in grado di seguire le esatte formule rituali o a ottenere i risultati richiesti. Nella Tavola V si legge che la Confraternita decise anche la multa che doveva pagare per un’amministrazione insoddisfacente.



La Santissima Trinità degli antichi Umbri era composta da Giove Grabovio (il Padre), Marte Grabovio (dio dei pastori guerrieri) e Vofione Grabovio, dio della fertilità che assicurava il futuro della comunità. I sacrifici erano una parte essenziale delle cerimonie per ottenere il favore degli dei e si concentravano sull'immolazione di un animale specifico (generalmente pecore, agnelli, maiali, capre e bovini), ma a volte, in prossimità del raccolto, venivano offerti sull'altare cani o cuccioli (un'usanza portata avanti anche dai primi Romani). Sul piano amministrativo, le Tavole stabilivano anche i tributi da versare allo Stato centrale, nonché le norme relative al commercio e agli scambi tra le città aderenti, con una distinzione tra proprietà privata e pubblica.

Sembra che gli Umbri siano stati fondamentalmente un popolo pacifico e civilizzato, molto disturbato da vicini molesti, quali gli aggressivi Romani e i pirati saccheggiatori dell'Adriatico. La classe guerriera era un'élite composta da cittadini di Atiedia, che sembravano preoccuparsi principalmente della difesa piuttosto che della conquista. La tavola V contiene il passo della Imprecatio, un'invocazione al dio o alla dea Torsa Giovia (a differenza dei greci, le divinità umbre non assumevano forma umana) in cui si chiedeva l'intervento divino per terrorizzare il nemico e costringerlo a rivolgere altrove la sua attenzione.

Il numero tre aveva un significato particolare, e appariva sotto varie forme in tutti i riti e i sacrifici; molti studiosi moderni ritengono che una traccia delle antiche usanze sia sopravvissuta fino ai giorni nostri sotto forma della festa annuale dei Ceri, tre giganteschi manufatti lignei, alti 5 metri e pesanti 300 kg ciascuno, che vengono fatti sfilare per le vie di Gubbio in onore di tre santi cristiani, Ubaldo, protettore della città e dei costruttori, San Giorgio, protettore dei mercanti (rappresentato però come cavaliere armato) e Sant'Antonio, guardiano dei contadini. Giorgio, protettore dei mercanti (rappresentato però come un cavaliere armato) e Sant'Antonio, protettore dei contadini. Ci sono altri segni, ancora più significativi, che dimostrano come le antiche memorie degli Umbri abbiano continuato a covare nel corso dei secoli, anche dopo l'assimilazione all'Impero romano. Il Monte Ingino, il Monte Sacro di Giove Grabovio, fu debitamente assediato in epoca paleocristiana, dedicato al vescovo Sant’Ubaldo nel XII secolo e successivamente immortalato da Dante come “il Colle eletto dal Beato Ubaldo”. E ancora oggi conserva il suo speciale fascino spirituale. Ogni Natale si trasforma in un gigantesco abete, delineato da oltre 400 luci fiabesche che si estendono per 75 metri verso la cima e sono visibili a chilometri di distanza, e diventa così uno degli imperdibili punti di riferimento dell’Umbria durante le festività.

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