L’opera realizzata, tra il 1499 e il 1504 dall’artista toscano, ha ispirato anche gli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo.

«Il Giudizio Universale è senza dubbio il capolavoro di Luca Signorelli. Secondo Giorgio Vasari, Michelangelo lo osservò attentamente per dipingere poi il suo Giudizio Universale». A dircelo è il professor Giuseppe Della Fina, consigliere dell’Opera del Duomo di Orvieto.

Una grande macchina scenica, un colossal cinematografico che – con le sue 7 scene (Anticristo, Finimondo, Resurrezione dei corpi, Inferno, Paradiso, Chiamata degli eletti e i Dannati) – ha la capacità di coinvolgere e portare al suo interno lo spettatore, o il fedele, come solo un film visto al cinema sa fare. Questo, e molto altro, è il Giudizio Universale realizzato da Luca Signorelli, che si trova all’interno del Duomo di Orvieto nella Cappella Nova o di San Brizio e che prese vita tra il 1499 e il 1504.

«Il primo contratto con l’artista toscano venne stipulato nel 1499 e nel 1504 ci fu l’ultimo pagamento. Prima di lui il Beato Angelico aveva dipinto due delle vele del soffitto (Cristo Giudice tra angeli e Profeti). Possiamo dire che quest’opera vanta la mano di due grandi maestri, anche se molto diversi tra loro. Dieci anni prima – nel 1489 – era stato contattato anche il Perugino, ma siccome era impegnato in altri lavori, non ha mai rispettato il contratto» racconta il professor Della Fina.

Camminando sotto le volte col naso all’insù si osservano le diverse fasi del Giudizio Universale, che suscitano un grande coinvolgimento emotivo. È possibile percorrere due sentieri visivi: «Se seguiamo un filo cronologico si deve partire dalla scena dell’Anticristo che racconta i movimenti politici e sociali dell’epoca, per passare poi a quella del Finimondo (che si trova sulla parete d’ingresso), seguita della Resurrezione dei corpi o della carne (con gli scheletri che riprendono muscoli e carne), per arrivare al Giudizio Universale vero e proprio con la Cattura dei dannati da una parte e la Chiamata degli eletti dall’altra. Se invece si volesse seguire una sequenza teologica, dovremmo iniziare la visione dal centro in cui è dipinta – sopra l’altare – la vela del Cristo Giudice, con a sinistra il Paradiso e a destra l’Inferno, separati da una finestra. Si proseguirebbe lungo le altre pareti, che raffigurano le scene che precedono il momento del Giudizio. Per dipingere l’opera, Signorelli ha preso ispirazione dal Vangelo di Matteo e dalla Divina Commedia, tant’è vero che raffigura Dante nella scena dei Beati del Paradiso insieme a diversi personaggi del mondo antico e medievale. Il ritratto del Sommo Poeta è tra i più celebri che conosciamo. Signorelli stesso poi si raffigura nella scena dell’Anticristo (in una sorta di firma) insieme a un altro uomo: per molti è il Beato Angelico – io credo che abbiano ragione – mentre altri sostengono che potrebbe essere Antonio Albèri, uno dei teologi che ha ispirato la scelta delle sue rappresentazioni» spiega Della Fina.

Cappellina dei Corpi Santi

La mano di Luca Signorelli si estese anche alla cappellina a destra dell’ingresso della Cappella Nova: lì l’artista nel 1503 ha affrescato la Pietà di Cristo con ai lati i santi Pietro Parenzo e Faustino, particolarmente venerati a Orvieto. «La deposizione del corpo di Cristo è di grande bellezza. Giorgio Vasari scrisse che Signorelli gli raccontò di aver disegnato il figlio Antonio, per conservarne il ricordo dopo la sua morte prematura. È molto probabile che poi questo disegno l’abbia utilizzato per rappresentare il volto di Cristo» conclude il professore.

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