Il fascino indiscreto dell'unto: la pizza grassa, simbolo di una Terni golosa
di Jacopo Fontaneto
Articolo vincitore Raccontami Umbria 2022 - sezione Umbria del Gusto
Un'icona della gastromomia della città umbra, nata nel Dopoguerra durante la ricostruzione. La ricetta è segreta e il suo eterno custode è Elio Mezzaioli, vivandiere di intere generazioni
Il segreto è nella sfoglia morbida e friabile. Tutto il resto è un'immersione nella ghiotta memoria che attraversa il tempo, in una terra dove ricette generose e possenti la fanno da padrone. La pizza grassa è un autentico simbolo ternano: croccante, ruvida, intensa, sostanziosa e popolare. Ancor più identitaria è quella di Elio Mezzaioli, personaggio leggendario che più di mezzo secolo fa ha trasformato e dato anima a una semplice focaccia con lardo, strutto e pancetta.
L'indagine non può che partire dall'esistenza stessa del suo creatore: negli ultimi vent'anni legioni di studenti sono transitati, all'uscita da scuola, dalle versioni latine di Tacito (un antico concittadino) a quella eliocentrica della “pizza grassa”. Ma del deus-ex-machina hanno conosciuto solo il nome, dato che nel 2000, ritiratosi, trasmise a Francesca Berardi e Antonella Nevini proprietà e gestione di tutto. Oltre, naturalmente, alla ricetta originale (rimasta invariata). Tutti gli interrogativi e le curiosità si esauriscono nel raggio di poche decine di metri: Elio, dopo aver sfamato generazioni di ternani, vive semplicemente la sua pensione a casa, tra le vie della città vecchia. "Ero stanco, sono stati decenni di vita dura. Ogni mattina alle quattro ero al forno, il mio collaboratore arrivava ancor prima, trascorrendovi l'intera notte, per fare il pane”. La sua giornata era lunga e cadenzata da ritmi e rintocchi fissi: “Elio, grassa! Elio, rossa! Elio, olio!” chiamava la moglie Giuliana dal passavivande del negozio sintetizzando, di volta in volta, quale delle tre varianti fosse terminato. Lui pare rispondesse brontolando monosillabi: ma ogni giorno, negli anni ruggenti, più di duecento chili di “soletti” (le teglie di qui) uscivano fumanti e incartati con cura. Pochissime opzioni di scelta, quindi, che ancora sopravvivono immutate con una sola concessione in più: le piccole pizze tonde con pomodoro e mozzarella.
Elio iniziò a lavorare nel 1952 come garzone di bottega da Azenio Colasanti, padre della prima ricetta di pizza grassa di cui si ha notizia: la tempesta aerea della guerra era passata sulla città pochi anni prima, violentissima, lasciando macerie e distruggendo quasi del tutto il centro storico. Terni, la Dresda italiana, era quindi alla ricerca di nuove identità e la pizza grassa non tardò ad imporsi come uno dei simboli della ricostruzione. La golosa creatura di Elio è concettualmente affine al panino napoletano, però in versione “schiacciata”: nell'impasto, con acqua e farina, entrano strutto, pecorino, lardo e pancetta. Ingredienti perfettamente riconoscibili all'assaggio di una ricetta che è (comprensibilmente) custodita come un segreto di Stato. Merito di Elio è stato perfezionarla, rendendola friabile e sfogliata, caratteristica che la differenzia dalle altre versioni presenti in città: lo farà non appena giunto al timone del forno-pizzeria, rilevato da Colasanti nel 1964, quando quest'ultimo decise di trasferire il suo locale nella nuova piazza del mercato, dove esiste tutt'oggi: di fatto, a Terni, convissero da allora due versioni di pizza grassa.
Il successo di Elio fu immediato, negli anni del boom economico: sono i tempi in cui la pizza grassa arriva ovunque, in fabbrica come a scuola, con i banchetti montati fuori dalla classe nell'intervallo fra le lezioni. Si precorrono i tempi del moderno delivery, organizzando i corrieri: la pizza volava persino in Canada e Brasile, mentre da Firenze un imprenditore inviava i propri fattorini per prelevarla e farsela portare a casa. Dopo la cascata delle Marmore - appena fuori città -, il forno di Elio non tardò a imporsi come meta fissa negli itinerari di visita; la bottega, però, si mantiene piccola e semplice. Nessun tavolo all'interno, la pizza grassa si prende e si mangia fuori, oppure la si porta a casa per aprire il pranzo della domenica. La pizza grassa è buona, nutre e costa poco, quindi la tradizione continua. E ancora oggi davanti alla pizzeria - che ha mantenuto il nome di Elio - c'è una fila perenne e democraticissima: nessuno si lamenta dell'attesa, che accomuna fuori bottega frotte di ragazzini, impiegati di banca in cravatta, operai fuori turno, politici d'ogni fazione. L'attesa del soletto, qui, è pura liturgia. Tutto come un tempo. Solo la plancia di comando del laboratorio ha cambiato reggente: ora è affidata a Mario e Michele, altrettanto instancabili. Sanno di avere la responsabilità di tener viva una ricetta unica e ci mettono core e impegno, carezzando ogni teglia stesa e sorvegliandone la cottura.
Si dice che tutti i salmi finiscano in Gloria. E, nel caso della pizza grassa, sono le note della canzone di Umberto Tozzi, le cui strofe sono state modificate all'uopo dal gruppo musicale degli Altoforno, cantori della “ternitudine” per eccellenza: "Elio / lu pezzo che t'è armasto / lu vedo e non me basta / non c'ha manco la crosta / scappa in fretta da lu forno / mille e sei per un soletto /non è grassa e allora aspetto / fa presto Elio!"