Nel XVI secolo divenne un ducato, nel 1849 ospitò un Garibaldi in fuga: fino agli anni '70 la frazione di Città della Pieve era popolata da quasi 20 famiglie

Simonetta Brillo, ex abitante: "C'erano botteghe e servizi, ora non c'è più nessuno. Sono stata una delle ultime persone a lasciare il borgo"

Ci sono luoghi così intrisi di memoria in cui, anche in assenza di persone, è la storia a parlare per loro. È il caso di Salci, un borgo abbandonato da ormai trent’anni nel comune di Città della Pieve, vicino ai confini con la Toscana. Ci si arriva solo percorrendo qualche chilometro di una strada sterrata che si stacca da quella asfaltata che porta a Fabro, il paesetto attiguo. Arrivati all’entrata del borgo svetta una torre fortificata da merli guelfi, la “Porta d’Orvieto”, che si apre su piazza Crescenzi, ora per metà transennata. Sulla piazza si affacciano una serie di edifici in stato di abbandono. Compresi il palazzo ducale e, poco più in là, la chiesetta cinquecentesca di San Leonardo.

I ricordi – Eppure, oltre quelle porte arrugginite, una volta c’erano «il falegname, il fabbro, un negozio di alimentare, una macelleria, la posta, un’osteria». I ricordi di Simonetta Brillo, 73 anni, sono nitidissimi, nonostante abbia lasciato il borgo all’inizio degli anni ’70, insieme agli ultimi salcesi. «Io abitavo in piazza Crescenzi, appena dentro dall’arco sulla destra, dove è nato Achille Piazzai», l’ingegnere navale che nel 1930 progettò il transatlantico «Rex». Con i suoi 268 metri di lunghezza, era la nave più grande mai costruita fino a quel momento. Per Salci passò anche Garibaldi: nel luglio del 1849, in fuga da Roma verso Comacchio, si rifugiò nel borgo. Ma più che in tutti questi racconti, la storia di Salci affonda le sue radici nel XVI secolo, quando divenne un Ducato.

Il Ducato di Salci – Nel 1568 Salci ricevette l’investitura a ducato da Pio V, e i suoi appena 3 ettari fortificati divennero un vero e proprio feudo. La cittadina si popolò di un podestà, un palazzo ducale e una guarnigione militare che rendeva il feudo autonomo dalla vicina Città della Pieve. Salci aveva anche l’autorizzazione a battere una sua moneta e forse è proprio in questi secoli che, in omaggio all’investitura papale, la sera i contadini «lasciano la zappa e la falce per la composizione di testi in carattere greco, che forniscono al Vaticano», come scriveva il vicentino Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia. Non si sa quanto sia vero questo aneddoto, ma in ogni caso i contatti tra Salci e Roma dovevano essere molto fitti. Il borgo, sorgendo tra il Granducato di Toscana e Orvieto, e avendo sbocco sulla Via Francigena, era meta di merci, ma ancor più di pellegrini, che da Roma si spostavano verso la Puglia per imbarcarsi alla volta di Gerusalemme.



La chiesetta di San Leonardo – Per accogliere i fedeli, nella seconda metà del ‘500 venne eretta la chiesetta di San Leonardo di Noblac. Chiusa, da anni in abbandono, la chiesetta custodisce alcuni affreschi del Pomarancio che negli anni alcuni vandali hanno cercato di asportare. «Se guardi il soffitto si vedono due buchi, dove hanno scavato per portarsi via gli affreschi», denuncia Simonetta. La proprietà di San Leonardo è della Curia e può farci quello che vuole, ma rimane comunque «un patrimonio immenso per cui non ci sono le risorse per farla riaprire» osserva Luigi Fressoia, presidente regionale di Italia Nostra. Le finestre che illuminano la navata hanno i vetri rotti, lasciando entrare umidità e altre intemperie. La porta, però, rimane sbarrata.


Il proprietario – San Leonardo è della Chiesa, ma tutti gli edifici del borgo sono di Francesco Perrini, il proprietario unico della Raut, la società che gestisce Salci da quando era ancora popolato. «Gli abitanti erano in affitto – racconta- pagavano 500 lire l’anno, era l’equo canone, e tenerlo in piedi è diventato insostenibile. Ho dovuto scegliere chi mandare via e chi no. Se gli ex abitanti sono arrabbiati con me, li capisco, ma Salci è una proprietà privata». Poi, negli anni Ottanta, dopo alcuni lavori finanziati da un bando della Comunità Europea per la ristrutturazione «al grezzo» di un’ala della piazza principale – quella ora transennata – Perrini si è fatto degli altri nemici. «Ho recintato la piazza e finiti i lavori ho lasciato le recinzioni per motivi di sicurezza. Nessuno ha detto niente per trent’anni. Poi, un bel giorno, il Comune mi ha fatto arrivare una multa da 550mila euro di tasse per aver occupato suolo pubblico». Ora sono in causa.

Un borgo da recuperare – «Salci è integro ma merita un restauro – ripercorre Fressoia – In alcuni punti cade a pezzi, ma non va modificato nella sua struttura». Prima degli anni ‘70, a Salci vivevano più di 20 famiglie. E oggi potrebbe essere ancora popolato. «Bisorrebbe adeguare le strutture ormai dismesse alle esigenze di vita del giorno d’oggi – conclude Fressoia – senza cambiare l’estetica del borgo». Confessa poi Simonetta: «Vorrei rivedere i bambini che giocano le case con i fiori, la gente che parla, i pomeriggi passati a parlare dei ‘gossip’ di Salci: era una vita semplice». Accenna un sorriso colmo di speranza, ma poi la voce si incrina per la commozione: «Cose che adesso non ci sono più».


…e da vendere – La soluzione che sembra mettere d’accordo tutti è vendere il borgo a qualche investitore: farebbe piacere agli ex abitanti, e allo stesso Perrini, che allontanerebbe un po’ di grane. Salci è sempre in vendita, spiega il proprietario, ma le offerte al momento non arrivano: «Gli acquirenti stranieri sono impauriti dai terremoti, l’immensità dei lavori da fare per ristrutturare tutto e poi i rapporti con il Comune. Non ho offerte da 25 anni. Ma se qualcuno lo comprasse sarei ben felice di sbarazzarmene. Non vorrei sembrare cinico, ma mi sono un po’ rotto le scatole di essere sempre criticato».

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