Looking for Umbria
di Serena Caleca
Io e te, da tanti anni insieme. Noi, levigati dallo stritolare del tempo, un po’ vagabondi, tanto, troppo responsabili e onnipresenti sulle necessità di questo mondo…custodivamo da sempre una nostra uscita di riserva, una cella nascosta, dove qualche fuga di notte o interrogativo tramonto, poteva respirare e nutrirci di sopravvivenza.
Si alternavano gli inverni e le estati…gli uni sotto l’orologio severo dei bilanci mensili, le altre lungo gli arenili del luogo abitativo, senza tanti voli di fantasia vacanzieri, di paradisi lontani o chimere illusorie, di quelle affisse alle vetrine insabbiate delle agenzie viaggio, i cui cartelli spesso svolazzavano al sole, presto ingialliti dalla salsedine…e che noi lasciavamo là, consapevoli della loro stessa improbabilità.
In una di queste estati assolate, a pochi passi dal lungomare di Fiumicino dove abitavamo, fra il rumore assordante degli aerei di linea, rotta estiva intrusiva tra le finestre aperte e con i nostri “cinque minuti dall’aereoporto…”, dalla cui provenienza ascoltavamo ogni giorno gli altri partire per chissà dove…in una di queste appunto, essiccate ritualità quotidiane, l’occhio mi cade sulla terza pagina di una brochure illustrativa dell’Umbria, scoprendo le varie informazioni turistiche, che alternavano foto di paesaggi mozzafiato, campi ammantati di colori rapite alla Valnerina, torri antiche di luoghi dello spirito, archi di pietra, ristorazione e valli a perdita d’occhio.
Ma dentro di me, ancora bella, un pò piccola e capricciosa, albergava un sentimento ambivalente a riguardo, un sentimento misto che poteva somigliare al desiderio di una principessa fanciulla, quella delle fiabe della mia infanzia, non ancora estinta nelle pieghe del mio inconscio, che reclamava onori, piaceri e tavole imbandite, unitamente ad un sentimento virtuoso legato alle passioni artistiche e archeologiche, che mi avevano sempre ricondotto sui luoghi dove la storia italiana e l’arte avevano scritto le loro pagine più belle e per le quali appunto a seguito di uno di quei bellissimi week-end dedicati, mi trovavo ora tra le mai, quella più che mai attraente brochure.
Il caldo era estenuante, il silenzioso cicaleggiare della campagna assolata, faceva deglutire dalla compassione e noi eravamo ormai consunti, dai turni di lavoro tu e dalle irrisolvibili attese io, nella prospettiva di far quadrare il progetto di un nutrito fardello familiare…sfogliavo e riguardavo le belle pagine che descrivevano istantanee a cielo terso, sulla regione più misteriosa d’Italia, mistica e verace, antica e al tempo stesso punta di diamante nell”organizzazione turistico alberghiera dei circuiti fuori dalla massa….giravo e rigiravo tra le immagini invitanti ma la mia mente si era ormai persa, nella terza pagina del piccolo compendio e là ritornava insistente più e più volte, fotografando tra la mente e le viscere, il soggetto fotografico ivi prescelto: Uno splendido piatto di tagliolini all’imperiale, grani di pepe, scampi e pachino.
Risaliva dentro di me con chiarezza, la coscienza di quello che stavo cercando e mi venivano in mente i numerosi tentativi fatti insieme, alla ricerca del piatto perfetto, che negli anni, raminghi tra locali di ogni tipo, economici nei giorni di magra o forse meno nelle occasioni importanti, avevamo sperimentato spassionati, ogni volta rinnovando la speranza…e rivedevo le scommesse, le risate, le rinnovate delusioni, l’analisi puntualmente demolitiva dei piatti, che non sfuggiva alla nostra ironica e goliardica ispezione…certo noi non siamo stati mai teneri nei confronti della logica della ristorazione…tu po,i usavi senza mezzi termini una sorta di ghigliottina mentale, con la quale facevi la tua personale giustizia, accatastando nello storico dei ricordi, un’infinità di teste saltate, di piatto in piatto, di conto in conto.
Tutto questo ed altro frullava ora in corsa nella mia testa, mentre contemplavo lo splendore di quella presentazione culinaria che ancora oggi ho davanti indimenticabile, i tagliolini ritorti, il pachino finalmente visibilmente autentico, il grande scampo nutrito, polposo, al centro del piatto sospeso sulla cupola avvolta con cura, i frutti di mare gonfi e freschi, il brillare dell’olio appena tinto dal tipico colore rosato del pachino rosso e verde nazionale…ero fuori…ormai quasi consunta, mi metto a cercare nelle microrighe a fondo pagina, il nome del ristorante umbro autore di tanta gastronomica bellezza e trovo il tesoro!…Località, nome del ristorante e numero di telefono!…
Ti investo, ricordi? Sorrisi e spallucce, argomenti e motivazioni, lamenti e stuzzicanti proposte, infine, ricatti e comando: “Mi devi portare!”…”Dove? A Foligno?” Replichi incredulo… “Ma tu sei matta!”…Sì, perché non l’ho detto ma la calura estiva, anzichè trasformarti in un romantico girovago, usualmente ti faceva sprofondare in uno stato di abulico finto giardiniere, perduto per ore tra i filari nascosti dell’orto, di quelli che a mezzogiorno vogliono vedere la moglie col grembiule intenta al suo inderogabile dovere. Invece no! Era deciso, dovevi muoverti e subito, perché io volevo andare a Foligno, entro e non oltre le 14, e proprio là, in quel locale, per gustare quel piatto e nessun altro!…Seguiva il tuo pietoso tentativo di sviolinare i migliori posti vicino casa, i nostri cavalli di battaglia, le vecchie glorie…”No!”, voglio andare in Umbria, ora, a quel ristorante e ordinare quel piatto!”
I mariti, ho scoperto, in fondo vanno pazzi per i nostri capricci…è il gusto della vita, cosa farebbero senza di noi regine feroci!…Quando siamo incinte vanno matti per soddisfare le nostre voglie improvvise, ma presto, la vita si fa un po’ monotona ed è allora che li vedi resuscitare grazie alla scarica di adrenalina che al momento giusto, solo noi sappiamo sferrare negli stinchi vedendoli stranamente tornare a sorridere.
Sì detto, eravamo già pronti, per saltare in macchina. Via tutto, impegni, orari, figli (grazie a Dio in vacanza), scadenze, rate, mutui, benzina…no problem! LOOKING FOR UMBRIA!
In realtà cominciavi ad avere fame anche tu, dal litorale romano a Foligno, splendida tappa umbra, pensavi, sono due orette e qualcosa, giusto l’ora di pranzo; sapevo che difronte all’idea di un bel piatto di pesce, sarei riuscita a farti uscire di casa…poco dopo eravamo già sulla A1, il sole dardeggiava fiamme sul vetro.
Tuttavia felici di quella “svapa” di vita, ci raccontavamo, mentre guidavi, tante cose, tra cui i vecchi ricordi legati a quella regione unica, dove tante volte ci eravamo ritagliati fughe d’amore…specialmente il più bello, quello di quella gita a Città di Castello, quell’anno appena conosciuti. Mi avevi promesso: “Ti porto a vedere un luogo bellissimo”, senza dirmi che avrei salito l’ingresso del più affascinante museo del centro Italia, Palazzo Albizzini della Fondazione Burri…davanti a quei misteri dell’anima, ai “Cretti”, alle “Combustioni”, alle “Ferite”, spalancate sui nostri occhi, opera instancabile del grande autore, il silenzio gridava, la terra d’Italia si contorceva, il sole bruciava, le zolle dell’anima si spaccavano, il cuore …e noi, ancora giovani artisti, non osavamo neanche poggiare il piede sui mattoni di cotto della sala, per non turbare il suono di quel palpito terrestre. Un luogo mistico, dell’Umbria più mistica.
Con frenetica apprensione, sfoglio e trovo la famosa terza pagina, per digitare il numero di telefono della location, eravamo alle porte di Foligno. La torre svettava nel cielo azzurro di agosto e conferiva alla città già da lontano il suo fascino tutto medioevale, vicoli e vicoletti si aprivano davanti ai due pellegrini gastronomici, muniti di auto, al telefono mi faccio spiegare gentilmente la zona e prego la reception di aspettarci, spiegando che eravamo partiti da Roma appositamente.
Una ragazza bella e gentile, ci accoglie indicando il tavolo prenotato…la sala grande, luminosa, elegantemente apparecchiata, con tovaglie bianche (Ahimè! Quanto sono rare oggi!), ci ricompensa del sudore e dell’ora tarda. Espongo le mie aspettative alla caposala, mostrandole con dubbia convinzione l’immagine del piatto che portava il nome del loro ristorante e indicando le motivazioni per cui desideravo assaggiarlo…un po’ interdetta, ma con professionale imperturbabilità, acconsente tranquillizzandomi: Sarei stata accontentata. Tu mi guardavi con un aria che non saprei ancora oggi definire.. forse sbigottito, affranto, forse spiazzato…dentro di te sicuramente pensavi, perché si vedeva…”Questa è proprio matta!”…però la cosa non ti dispiaceva affatto, infatti eri lì, con me, ed erano le 14…e naturalmente ora, ordinavi lo stesso piatto.
Sulla cangiante porcellana bianca, non una virgola di meno. Non una variante sulla scena della visuale del “Tagliolino” che poco dopo avevamo davanti, né una disposizione differente dalla descrizione fotografica di quel quadro d’autore che potevamo contemplare con veri occhi, dopo tanta strada, ansie, timori, paura di non farcela e quanto più. I fili della pasta sembravano quasi copiati ad arte dall’immagine che avevo mostrato, ma come avrebbero fatto a copiarla, se la brochure, era nella mia borsa? Tutto era identico, abbondante e ben disposto e ci stava guarendo dallo scetticismo sconfessato in cui eravamo caduti negli ultimi tempi,
Neanche tu, credevi a una così generosa ricompensa al tuo supino sforzo collaborativo e infatti stavi zitto, mangiavamo guardandoci. Stavamo entrambi pensando alla qualità di una ristorazione, che davvero portava il nome di “Cucina Italiana”, con quel garbo, quell’armonia di sapori dolcemente accostati, quella cura nella presentazione estetica del cibo che accompagnata da una premura di stile familiare, della tavola e dei particolari del servizio, ancora fanno riscaldare i nostri ricordi d’infanzia, quando la terra e le mani delle nostre nonne, sapevano raccontare l’unicità di una cultura d’amore.
Un sapore autentico, immerso nella ricchezza di una terra feconda, boschiva e segreta, custodito dalla cinta muraria delle buone tradizioni, dalle fondamenta inespugnabili del sapere, dalle cattedrali dello spirito, ricopre lo spazio del silenzio della grazia e riconduce il cuore dell’uomo al battito originario del primo incontro con la luce.
Cose che succedono ancora in Umbria.
Ps: Il Ristorante di cui si fa menzione nel testo è “LA BRACE” – Foligno