Il segreto più antico dell’Umbria
di Margaret Stenhouse
Una lista delle cose per cui è famosa l’Umbria sarebbe praticamente infinita: è il luogo di nascita di due dei santi più importanti del cristianesimo, ovvero San Benedetto, il santo patrono d’Europa, e San Francesco, il santo patrono degli animali e dell’ambiente, così come il luogo di sepoltura di San Valentino, il santo più conosciuto al mondo. È stata chiamata la “Terra dell’acqua” con i suoi fiumi, fonti di acqua naturale risanatrice e laghi, incluso il lago più grande dell’Italia centrale. Inoltre, in Umbria è presente la cascata artificiale più alta del mondo, l’“orribilmente bella” Cascata delle Marmore (così come descritta dal poeta Byron), costruita dai romani oltre duemila anni fa. Città della Pieve vanta il vicolo italiano dal nome più pittoresco, risalente all’epoca medievale, largo 45 cm e chiamato Vicolo Baciadonne. Nel borgo medievale di Monte Castello di Vibio è possibile trovare il teatro più piccolo del mondo, l’affascinante Teatro della Concordia, risalente al XIX secolo. A Perugia convivono opere di ingegneria di tempi antichi e nuovi, dal meraviglioso Pozzo etrusco profondo 36 m, risalente al III secolo a.c., al Mini-metro del XXI secolo, un sistema futuristico di monorotaie e scale mobili scavate nella roccia pulsante della Rocca Paolina, collegando il centro storico con la parte più moderna della città situata nella valle sottostante.
Stranamente, però, l’Umbria non è molto conosciuta per essere la dimora di uno dei monumenti naturali più singolari, risalente a due milioni e mezzo di anni fa. La Foresta fossile di Dunarobba umbra è uno di soli tre siti simili presenti al mondo, ed è l’unica ad aver conservato i suoi tronchi contorti, superstiti di un mondo perduto, in posizione eretta.
Tuttavia, non bisogna confondere una foresta fossilizzata con i molti esempi di Foresta pietrificata, come quella presente nel parco nazionale dell’Arizona e immortalata nel film di gangster degli anni 30 che ha lanciato la carriera di Humphrey Bogart. Le foreste pietrificate sono fatte di alberi antichi mineralizzati e trasformati in pietra. Gli alberi fossili, invece, sono come delle mummie, essiccati ma con le loro proprietà organiche naturali intatte. Sono ancora fatti di legno e rappresentato un esempio estremamente raro di legno preistorico, dunque fondamentale per la ricerca scientifica. Ci sono solo altri due esempi conosciuti di simili foreste fossili al mondo: la foresta fossile della palude di Bukkabrany in Ungheria e il sito presso l’isola di Axel Heiberg nell’arcipelago artico canadese.
I resti della foresta di Dunarobba sono nascosti in un avvallamento in fondo a una vecchia cava di argilla, immersi in un paesaggio incontaminato di immensi campi, case di campagna sparpagliate e colline distanti, a qualche chilometro dalla piccola cittadina di Avigliano Umbro, sull’antica Via Amerina.
Circa cinquanta tronconi colossali sono stati scoperti per puro caso nel 1980 dal paleontologo in erba Claudio Sensi, presidente del Gruppo Umbro Mineralogico Paleontologico. Seppelliti nell’argilla, sono stati miracolosamente preservati. Sono stati chiamati gli esperti dell’Università di Perugia ed è stata ufficialmente riconosciuta l’importanza del sito. Successivamente la cava è stata chiusa e sono stati effettuati i primi tentativi atti alla preservazione degli alberi, tramite la costruzione di tetti di alluminio temporanei per proteggerli, almeno in parte, dagli elementi.
Sfortunatamente, circa trent’anni dopo non è stato effettuato alcun miglioramento vero e proprio. La mancanza di fondi sufficienti ha fatto sì che quei tetti fiacchi rimanessero lì, lasciando le parti laterali alla mercé del vento e della pioggia battente, facendo sì che i tronchi fossero esposti agli attacchi di insetti del legno. Il capanno in cemento e vetro costruito per proteggere alcuni degli esemplari più grandi era stato originariamente dotato di un adeguato sistema di controllo climatico, il quale, essendo troppo costoso, non è più in funzione. La mancanza di una sorveglianza adeguata ha causato problemi persino peggiori: alcuni esemplari di questi giganti recano le nere cicatrici di incendi appiccati dai vandali.
Ciononostante, visitare il sito è un’esperienza emozionante. Una breve camminata per il grezzo percorso campagnolo con la nostra guida Daniela ci ha portato attraverso un cancello chiuso e sul bordo della cava. Nell’avvallamento sottostante potevamo vedere gli alberi spuntare dal terreno, disposti come in una formazione da battaglia, con i loro scudi di latta sopra la testa, e ci siamo fatti un’idea della loro effettiva stazza solo una volta che siamo scesi e ci siamo avvicinati. L’esemplare più grande ha un diametro di quattro metri. Nel suo stadio originale sarebbe stato alto 50 o 60 metri, l’equivalente di un odierno condominio a più piani. I botanici hanno stabilito che questi alberi fossero conifere, appartenenti a una specie simile al raro cipresso cinese delle paludi, estinto da tempo in Europa.
Il piccolo museo accanto al centro visitatori documenta il tipo di ambiente e le forme di vita che caratterizzavano l’area tra i due e i tre milioni di anni fa, quando questa foresta di conifere giganti cresceva sulle rive del Lago Tiberino, un enorme specchio d’acqua, nove volte più grande dell’odierno Lago di Garda, il quale ricopriva la maggior parte dell’Umbria dei nostri giorni. A quel tempo il clima era più caldo, come testimoniano la collezione di gusci e i frammenti di ossa di animali progenitori di antilopi, cervi e cavalli trovati nei pressi del sito, mentre nelle vicinanze, a Narni, è stato scoperto lo scheletro di un rinoceronte durante dei lavori stradali.
I tronchi di Dunarobba sono sopravvissuti grazie a una combinazione di circostanze positive. Verso la fine dell’epoca del Pliocene è avvenuto un cambiamento climatico globale che ha causato cambiamenti drammatici nell’ambiente. Le temperature si sono abbassate, mentre la terra si alzava e il mare si ritirava. Si è aperta una voragine nella catena montuosa degli Amerini e le acque del lago si sono gradualmente spostate verso il mare. Man mano che l’acqua si ritirava, gli alberi sprofondavano sempre di più in depositi di sabbia e argilla. Il processo è stato così graduale che gli alberi sono rimasti in posizione eretta. Infine, la cima degli alberi si è spezzata, ma le radici e i tronconi sono rimasti preservati in strati di sedimenti che tutt’oggi presentano una consistenza spugnosa.
Daniela ci ha spiegato che gli scienziati ritengono che vi siano molti più resti di alberi fossilizzati al di sotto dell’attuale sito e spera che un giorno vi si possa effettuare uno scavo come si deve.
Al momento, il Centro di Paleontologia Vegetale della Foresta Fossile di Dunarobba (per dire il suo nome completo) viene gestito con un budget risicato da parte di una cooperativa di entusiasti dedicati. Il Cooperativo Communita Surgente ha preso il comando del sito tristemente abbandonato un paio di anni fa e sta facendo del suo meglio per farlo conoscere al grande pubblico. Il presidente della cooperativa Massimo Manini proviene da una carriera sopra e dietro il palco come regista di cinema e sta sfruttando le esperienze maturate per organizzare un programma di eventi mirato ad attrarre visitatori e a coinvolgere la comunità locale.