Strangozzi umbri al tartufo nero: il talismano della felicità
di Gilda Angrisani
Ode alla cucina Umbra fatta di sapori antichi, semplicità, ingredienti pregiatissimi: dal gusto indimenticabile. Nei piatti umbri vive, come in uno specchio, ma di sapori, il territorio, la storia dell’Umbria. Viaggiamo insieme tra le righe di una inedita leggenda partendo dai celebri versi del poeta indimenticato Sandro Penna, figlio dell’ Umbria, per tradurre in parole la magia dei suoi sapori, dei profumi della sua cucina scientemente condensati in un piatto delizioso. Gli strangozzi al tartufo nero:
L’Umbria in un piatto.
“Era l’alba sugli umidi colli
e la luna danzava ancora assorta
colle lepri del sogno. La lattaia
discendeva il suo colle. Ognuno amava
la propria casa come una scoperta.”
In una casa una donna anziana ma di bell’aspetto, dalla pelle liscia e lucente era assorta, intenta, nella calma del mattino, a lavorare una pasta compatta color del grano affondando le mani sapienti nella farina di grano tenero mista ad acqua e sale. Sola nella sua casa accompagnava il suo lavoro canticchiando una nenia popolare che la faceva “artornà’ ntoll’ovo, argì’ in creatura” (tornare bambina) e ne bagnava gli spigoli degli occhi lucidi di felicità e malinconia. Come la sua vita, la sua arte, la cucina, era tutta umbra. Non aveva mai viaggiato, non era mai stata altrove, ma conosceva il mondo. Aveva conosciuto migliaia di persone grazie a quella pasta, che aveva percorso migliaia di chilometri e centinaia di vite su tante gambe diverse. Adesso la pasta era pronta, aveva riposato per qualche ora, volata via tra i ricordi che l’assorbivano e divoravano minuti ed ore. È giunta l’ora di lavorare la pasta.
Su una spianatoia di legno vola un velo di farina di grano tenero e su di essa la vecchina stende una sfoglia sottile di circa due millimetri ottenuta pressando il mattarello sulla pasta con pochi gesti cadenzati e delicati. Le sue mani sono rugate e artritiche ma generose e hanno in esse la memoria dei gesti che ferma e lucida lavora sulla pasta dandole le giuste misure. Solo con un coltello a lama liscia e occhi esperti taglia la pasta in strisce larghe tre millimetri e tutte straordinariamente uguali. Fa piovere su di esse gocce di farina e con gesti decisi le solleva come il vento fa in un turbine con le foglie, staccandole dalla spianatoia. Lunghe e strette le stringhe di pasta ricordano le stringhe di cuoio delle scarpe dei cercatori di tartufo: le stringozze. Riposano ora sul tagliere ammucchiate e leggermente infarinate, pronte a tuffarsi nell’acqua bollente salata.
È finalmente mezzogiorno. Dal balcone della sua piccola cucina la donnina poteva vedere il sole alto illuminare le valli della verde Umbriae specchiarsi nelle acque del Trasimeno “velo argenteo”, i canti degli uccellini e il rumore delle serrande appena alzate avevano lasciato il posto al vocio dei bambini esclamanti di gioie all’uscita da scuola, allo scampanellio delle biciclette che sfrecciano per la piazza del paese facendosi largo tra i passanti; l’odore di caffè, brioche e pane appena sfornato era stato rimpiazzato da un profumo di ragù, carne e, certamente, nella sua cucina, dal profumo di Tartufo nero. Il re della sua tavola aveva affogato i profumi che filtravano dal balconcino sommergendoli con la sinfonia del suo aroma pregiato e unico. Giuntole da poco, portato dai trovatori di tartufi di ritorno dalla mattinata di caccia e scovato dai loro setter, cani intelligenti e dal fiuto fino, il tartufo nero, protagonista della sua ricetta, si svelava appena facendo capolino dal cestino di vimini nel quale era adagiato sopra un canovaccio bianco morbido. Aveva lasciato da poco la terra e ne portava addosso i resti, l’odore di bosco e fogliame, la polvere terrosa della bella Umbria che lo aveva nutrito come una madre.
Uno sguardo all’orologio, le dodici e tre quarti, il tempo stringe! Lesta la donna si appresta ad accendere i fornelli, l’acqua è sul fuoco, aspetta di bollire. In una pentola di rame sfrigola una testa d’aglio immersa in abbondante olio d’oliva. Il Tartufo, scrigno di nobile sapore, è stato già spazzolato, ripulito dalla terra e in parte grattugiato. La sua polpa beige punteggiata di bianco sarà presto versata nell’olio per soli pochi istanti senza che esso si cuocia, ma per permettergli appena di sprigionare tutte le note aromatiche del suo bouquet di sapore. L’acqua bolle: gli strangozzi si tuffano nell’acqua salata. Come un direttore d’orchestra la vecchina muove mestoli come bacchette stando attenta a orchestrare bene fornelli e fuochi per creare la sinfonia del piatto perfetto. In pochi minuti la pasta viene a galla e, una volta scolata, finisce nell’olio e tartufo nero. Qui avviene la magia. La pasta soltanto con una mantecatura lieve assume il sapore dell’olio tartufato e viene sensibilmente valorizzata, nobilitata dal Re del piatto. In un attimo il piatto è in tavola, pronto. Arrotolati in un’abbondante forchettata gli strangozzi al tartufo sono serviti con una generosa spolverata di tartufo fresco e dulcis in fundo cadono sulla pasta fettine diafane di tartufo dalla scorza irregolare e di un nero intenso e brillante.
L’orologio segna l’una. Il campanello suona. L’ospite del giorno è una giovane turista, viene dalla Campania e ha letto su una vecchia guida turistica dell’Umbria che un’anziana donna sola prepara ogni giorno un delizioso piatto tipico della cucina umbra e apre le porte della sua casa ai visitatori, in cambio, come ricompensa, chiede che loro le raccontino la propria storia, spendano un po’ di tempo presso il suo focolare godendo delle bellezze e dei sapori della sua terra, le permettano di viaggiare attraverso i loro racconti, le loro vite e promettano di ritornare a trovarla in futuro. La giovane ospite si accinge all’assaggio. Quello che sente non riuscirà a descriverlo con le parole. Dirà solo che per lei gli strangozzi al tartufo nero sono stati e saranno un talismano della felicità. Tornata a casa dal suo viaggio in Umbria, non potendo spiegare la ricchezza del dono ricevuto, fu costretta a ritornare in Umbria portando con sé famiglia ed amici, ormai troppo curiosi, presso la vecchina che li accolse a braccia aperte. Come la vecchina della nostra leggenda l’Umbria con le sue leccornie, i paesaggi mozzafiato, le bellezze artistiche e la sua storia vi accoglierà in un abbraccio di sapori, odori e visioni delicati ed incantevoli e non potrete fare a meno di tornare perché se vi abbandoneranno i ricordi, i sapori, ben più resistenti nella memoria, vi riporteranno indietro alla loro incommensurabile delizia.