Capolavori sulla via della ceramica
di Cristina Gambaro
Il servizio di piatti con le maschere della Commedia dell’Arte per George Clooney. La Via Crucis per la chiesa privata di Mel Gibson, a Malibù. I piatti con uva e foglie di vite per Francis Ford Coppola e la sua cantina nella Napa Valley. Sembra essere più famosa negli Usa che in Italia l’azienda Grazia Maioliche di Deruta, una delle più longeve al mondo, che da 500 anni produce servizi di piatti, vasi e brocche. La ceramica di Deruta, una delle tradizioni artigianali storiche dell’Umbria, affonda le radici nell’antichità grazie all’abbondanza di tre elementi: l’acqua, l’argilla e il legno dei boschi per alimentare le fornaci.
A sud di Perugia, Deruta sorge su un colle che domina la Valle del Tevere, con le mura che ancora circondano le case d0 origine medievale in pietra. Tutto il borgo è un inno alla ceramica, nelle botteghe, nelle decorazioni delle facciate, nei pavimenti delle chiese... Il centro è Piazza dei Consoli, con il Palazzo Comunale dalla torre trecentesca e le bifore ogivali. Di fronte sorge la Chiesa di San Francesco, in stile gotico, con gli interni affrescati da maestri della scuola senese. La prima documentazione ufficiale sulla ceramica risale al 1287, quando si costituì la corporazione dei vasai. All’inizio si producevano semplici terrecotte a uso domestico; poi i manufatti iniziarono a essere colorati di giallo, blu e arancio, diventando più elaborati fino ai magnifici piatti da pompa del ‘500. Li si può ammirare al Museo Regionale della Ceramica, nel Convento di San Francesco, in un’esposizione che parte dai vasi di epoca etrusca, passa dal vasellame della prima età imperiale e di epoca medievale per approdare alla sofisticata produzione rinascimentale con temi ispirati a Perugino e Pinturicchio, decorata con la tecnica del lustro che permette di ottenere colori oro e rubino dai riflessi cangianti. Per una visione contemporanea, completamente staccata dalla tradizione, bisogna recarsi nel laboratorio di Attilio Quintili, discendente di una famiglia dedita alla produzione della maiolica da sette generazioni. Le sue ultime opere in ceramica sono vere sculture dalle forme più imprevedibili, ottenute dalla deflagrazione di cariche esplosive in blocchi di argilla o caolino. In basso, nella piana del Tevere, si concentrano le aziende produttrici, come Grazia Maioliche, con la sua facciata in mattoni o le decorazioni in ceramica, inaugurata nel 1922 dal nonno dell’attuale proprietario che come lui si chiamava Ubaldo. All’epoca era una fabbrica modello, con palestra e docce per gli operai.
I tempi erano bui per la maiolica, non più concorrenziale con la nascente industria della porcellana. Ma Ubaldo Grazia riuscì a recuperare le tecniche rinascimentali e a vendere in America, come raccontano le foto in bianco e nero delle botti a dorso di mulo che arrivavano al treno per Livorno, e da lì al porto per New York con le navi. Si visitano l’azienda e il museo dov’è raccolta tutta la produzione di oltre un secolo, comprese le opere di artisti e i frammenti di ceramiche antiche. E’ legato a una fabbrica storica, L’Antica Deruta Ceramiche, anche il Museo Fondazione Ceramica Contemporanea d’Autore Alviero Moretti, che espone una collezione permanente di oltre 200 opere di grandi artisti, da Mario Schifano a renato Guttuso, da Tommaso Cascella ad Aligi Sassu. La visita dell’azienda permette inoltre di vedere come nasce un oggetto in ceramica.
Deruta è il punto di partenza di un itinerario di circa 40 chilometri che ha come fil rouge l’argilla e i suoi prodotti. La prima tappa è il santuario della Madonna del Bagno, poco fuori dal centro, con oltre 700 formelle votive in maiolica che rivestono le pareti della chiesa e che coprono un arco di tempo di circa tre secoli. La tradizione racconta che nel ‘600 un merciaio rinvenne un frammento di maiolica raffigurante una Madonna con il Bambino e lo appese a una quercia. Qualche anno più tardi si rivolse all’immagine perché salvasse la vita della moglie agonizzante e “ritornato a Casalina trovò la moglie fuora di letto, con perfetta sanità e che scopava la casa”, come racconta la prima delle formelle votive. Era il 1657 e sul luogo fu subito costruito un santuario. Ancora un paio di chilometri e si arriva a Ripabianca, frazione di Deruta, il “paese delle terrecotte”, con il castello che domina la valle e le fornaci, tra cui Terrecotte Ripabianca, da cui escono gli orci, i comignoli, le anfore, gli ziri in cui si conservava l’olio d’oliva.
La terza tappa è Marsciano, un borgo sulla sponda del Nestore, con le case, il teatro e le strade in pietra e mattoni, a testimonianza della principale produzione locale: la lavorazione della terracotta e del laterizio da costruzione. L’attività è celebrata nel Museo Dinamico del Laterizio e delle Terrecotte (è un museo diffuso, ma le altre sedi sono chiuse per accertamenti dopo il terremoto) in Piazza san Giovanni, cuore del paese con la Chiesa di San Giovanni Battista. All’interno, oltre alle opere del marscianese Antonio Ranocchia e a una collezione di fischietti in terracotta, una sala di orci giganti in un percorso storico sui materiali per l’edilizia e le terrecotte a partire dall’età romana. Proseguendo verso nord si raggiunge Torgiano, famosa per il vino e l’olio, ma fino a trent’anni fa fiorente centro di ceramisti. Il borgo in arenaria ha una forma allungata attraversata da Corso Vittorio Emanuele, con il secentesco Palazzo Graziani Baglioni, sede dei Muvit, che raccoglie antiche ceramiche legate al vino. Nella vicina Piazza Baglioni, c’è la Fonte di Giano, dell’artista Nino Caruso. Le sue opere si possono ammirare al Macc – Museo dell’Arte Ceramica Contemporanea che raccoglie le opere realizzate dall’artista a partire dagli anni ’50 ed espone anche la collezione Vaselle d’Autore con oltre 150 opere di artisti di fama internazionale invitati dal 1995 a Torgiano per presentare la loro personale versione della vasella, il boccale umbro con la punta a becco. Per chiudere in bellezza ci si può fermare a L’U Winebar, in una delle fornaci recuperate, dove ordinare un calice di vino locale sotto le pareti annerite da secoli di fumo.