Perché Italia centrale non significa solo Toscana… La famiglia Lungarotti e le radici del vino umbro
di Chiara Gorleo
Ogni rivoluzione, ogni territorio, ogni storia ha un padre. Visionari che hanno il coraggio di credere in sviluppi a tratti utopici. Alcuni di questi sviluppi producono un’eco potente. Nel mondo del vino si pensi al fenomeno dei Super Tuscan (imponenti vini rossi che si ispirano alla tradizione francese rompendo situazioni di stallo). Altri sono più sottili ma non meno efficaci! È sicuramente vero per l’Umbria, nell’Italia centrale “il cuore verde dell’Italia” come spesso definita e come ho imparato dalla delegazione regionale dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier).
L’Umbria è prevalentemente montuosa, caratterizzata da un clima continentale e dall’influenza lacustre; è vicina alla Toscana e con essa condivide una varietà di uva rossa molto popolare in tutta Italia: il Sangiovese! Il Sangiovese è l’uva (cloni diversi) dei noti rossi toscani (come Chianti, Brunello, Vino Nobile di Montepulciano e così via) perché, anche se è l’uva più coltivata in Italia, la Toscana è il suo regno per eccellenza! Nonostante ciò, è importante sottolineare il ruolo cruciale che il Sangiovese ha giocato nella verde Umbria! Infatti, è proprio il Sangiovese il protagonista della rinascita di questo territorio a cui si è assistito intorno agli anni ’60 (anche) grazie al noto vino “Rubesco” della famiglia Lungarotti. Un vino, rosso, fatto principalmente di Sangiovese che con questo fantasioso nome ricorda l’arrossire che il bere vino causa sulle guance.
Rubesco è molto più di un vino, è il simbolo di una rivoluzione se si pensa che l’Umbria, negli anni ’60, era caratterizzata da una qualche arretratezza e – ancora peggio – da scetticismo nei confronti della produzione vitivinicola di qualità. Il Rubesco ruppe il muro della “miopia” locale rispetto all’Europa, considerando che proprio in quegli anni nacque un regolamentazione europea sui vini di qualità. Come il professore Manuel Vaquero Piñeiro1 spiega chiaramente nel suo libro sulla storia dell’Umbria come regione vinicola2, i più erano riluttanti a riguardo temendo che questa regolamentazione portasse ad una forma di omologazione, mentre Giorgio Lungarotti (fondatore dell’attuale brand che porta questo territorio a spasso per il mondo) la colse come un’ottima occasione! Non solo, Giorgio Lungarotti aprì la strada ad ulteriori opportunità, inaugurando un Museo del Vino (negli anni 70) supportato dalla tangibile sensibilità della moglie Maria Grazia. Questa fu un’ulteriore rivoluzione considerando che - in quel periodo - si trattò del primo esempio in Italia e che riuscì anche nell’impresa si svelare i lati culturale, turistico e storico del vino.
Il Museo custodisce pezzi storici importanti legati a diverse epoche a partire dal 3000 A.C. che spaziano da strumenti a elementi culturali includendo rilevanti testimonianza come, ad esempio, la centralità del vino per gli Etruschi, i quali erano soliti rappresentare i morti con una coppa di vino; per non parlare dell’arte della ceramica così strettamente connessa a questo territorio con diversi significati nascosti nelle forme e nei disegni simbolici; e ancora, le diversità di ruoli delle divinità legate al vino per Romani e Greci; così come interessanti documenti e perfino tele sul tema enoico di alcuni dei più importanti artisti mondiali.
Anche la collocazione è assolutamente attraente. Il Museo si trova nel paese di origine medievale di Torgiano, nell’antico palazzo Graziani Baglioni, al cui interno presenta una ex zona di produzione privata e che è oggi è resa disponibile al pubblico che può, così, scoprire i vecchi strumenti di trasformazione del nostro “liquido magico”. Insomma, si tratta di un percorso artistico, storico e culturale di gran valore, apprezzato in tutto il mondo e, non a caso, definito dal NewYorkTimes come il migliore in Italia.
Ma per scoprire di più circa la famiglia Lungarotti è necessario visitare le tenute e provare i diversi vini prodotti da uve locali così come da quelle cosiddette “internazionali” utilizzate, ad esempio, per produrre spumanti. Non posso che partire dalla tenuta di Torgiano dove tutto ha avuto inizio e dove il nostro Rubesco è prodotto: la versione base è un vino di facile beva, adatto al pasto di tutti i giorni ma non manca una versione più complessa, la Riserva: vino di gran pregio, disponibile sul mercato solo dopo un lungo periodo di maturazione e affinamento in cantina (almeno 5 anni!): succoso, vellutato, assolutamente persistente, tutt’altro che pesante grazie anche ad un finale rinfrescante. Tra gli altri sono interessanti 2 diversi bianchi come “Torre di Giano”, rappresentativo quasi come il Rubesco sul fronte dei bianchi, prodotto da uve locali (Vermentino, Trebbiano, Grechetto) oppure l’“Aurente” fatto di Chardonnay e maturato in legno con un finale fumè.
Inoltre, Lungarotti non poteva che investire nell’area di Montefalco, nuova frontiera dei vini di qualità in Umbria, dove producono il classico Montefalco Rosso insieme al potente Sagrantino, sia secco sia nella versione passito come voleva la tradizione. Il Sagrantino è il vino rosso più tannico al mondo e richiede pazienza e specializzazione per essere gestito al meglio. Non solo, questa tenuta offre anche eleganti spazi per eventi e cerimonie.
Lo stile è il fil rouge della famiglia Lungarotti, ancora oggi a capo di queste importanti realtà sul duplice fronte della produzione e dell’attrattività territoriale (anche se Giorgio è scomparso nel 1999) e questo grazie a Maria Grazia, di cui sopra, fondatrice - con lui - della Fondazione Lungarotti, Chiara e la sorella Teresa.
Noi italiani abbiamo ormai imparato che il vino non è solo una “bevanda”: la famiglia Lungarotti è un perfetto esempio di cosa questo può significare.