In Umbria, an Italian olive oil worth the accolades
di Elaine Sciolino
TESTATA: New York Times
DATA DI PUBBLICAZIONE: 6 OTTOBRE 2014
In Umbria, un olio di oliva italiano all'altezza degli elogi
Spello, Italia — La maggior parte delle persone si reca all'enoteca ristorante Properzio in questo paese medievale collinare dell'Umbria per la sua eccellente selezione di vini. Il nostro gruppo però era destinato a rimanere sobrio. L'artista tailandese era astemio, mentre lo scrittore americano era il conducente designato. Il pittore iraniano-americano e il poeta mongolo erano dei principianti in fatto di vini. Solo lo scultore brasiliano-americano del nostro gruppetto di sei turisti era decisamente insaziabile dal quel punto di vista. Quindi dopo aver bevuto tre vini accostati a tre portare diverse, ci siamo dedicati a un altro tipo di liquido: l'olio d'oliva. E in quel momento abbiamo conosciuto anche Nadia Antonelli Franceschini. La Signora Antonelli Franceschini e suo marito Augusto producono un olio extravergine di oliva chiamato Cuore Verde, utilizzando esclusivamente olive moraiolo giovani che coltivano in piccoli appezzamenti di terreno sulle dolci colline che circondano Spello. L'Enoteca vende l'olio e lo serve ai clienti. La Signora Antonelli Franceschini versa un po' di questo olio denso di colore verde-dorato in un bicchiere dalla forma di un grande vaso di marmo blu aperto in alto. Scalda il bicchiere tenendolo in mano e lo colpisce delicatamente tre volte per sprigionare il profumo dell'olio, quindi lo fa girare tra i commensali. “Dovreste sentire il sapore piccante sulla punta della lingua e l'amaro in fondo alla gola”, dice. “È ricco di antiossidanti che lo rendono aggressivo. Qui non troverete la dolcezza della Toscana.” La Signora Antonelli Franceschini, una hostess Alitalia ora in pensione, e il marito, per formazione filosofo, sono strenui difensori dell'olio d'oliva umbro. In un momento storico in cui la maggior parte dell'“olio extravergine d'oliva italiano” che invade i mercati mondiali non è né italiano né tantomeno vergine, il Signor Antonelli Franceschini presiede un consorzio regionale di produttori di olio d'oliva che identifica l'olio biologico umbro autentico con un timbro d'eccellenza: D.O.P., che sta per "di origine protetta". Ciascuna bottiglia D.O.P è numerata, con una data di scadenza consigliata. Io pensavo di conoscere l'olio d'oliva.
Mio padre nel suo negozio di alimentari italiani di Niagara Falls (N.Y.) vendeva una dozzina di marchi di olio extravergine d'oliva importato molto prima che la dieta mediterranea diventasse chic e diceva ai suoi clienti che l'olio di oliva batteva il burro sulla pasta, sul pane, sulle verdura e persino in molti dolci. Il miglior regalo di Natale che potesse farmi, una volta cresciuta, era una cassa di quattro latte da 4,5 litri l'una del suo marchio migliore. Quando sono stata inviata a Roma come corrispondente principale di Newsweek negli anni '80, sono andata a vivere in un appartamento che era stato dell'attrice Anna Magnani. Il figlio Luca era il mio padrone di casa e ogni inverno la governante della famiglia Magnani mi portava enormi damigiane color verde scuro contenenti il dolce olio d'oliva prodotto nella tenuta di famiglia vicino a Roma. Ne ero talmente dipendente che prima di trasferirmi a New York ne ho inviate alcune per posta. Ma ora eccomi a Spello, di fronte a un olio che non era decisamente per gli amanti dei gusti delicati. Se Cuore Verde fosse una star del cinema, sarebbe Marcello Mastroianni nel ruolo di Guido in “8 e 1/2”: intenso, pungente e cupo. Deve essere versato con entusiasmo su una ricca zuppa di legumi oppure su una bruschetta generosamente coperta da una fetta di Pecorino Romano. Non è affatto adatto ai tartufi neri o alla sogliola.
L'olio umbro rappresenta solo il 2 per cento circa della produzione italiana di olio d'oliva ma si aggiudica in proporzione una quantità di riconoscimenti ben superiore. Una questione decisamente da approfondire. Quindi dopo aver guidato per un'ora verso sud-ovest per incontrare un'amica ad Acqualoreto, quest'ultima mi portata a conoscere Pietro Marruco, 30 anni, che con altri nove investitori ha costruito un frantoio all'avanguardia del valore di 1 milione di dollari, destinato all'uso dei coltivatori di olivi dell'intera regione. Il Signor Marruco è determinato a mantenere i suoi oli, venduti con vari marchi, tradizionali, locali e incontaminati. Tutte le olive che utilizza provengono dai terreni che circondano il frantoio per un raggio di 32 km.Marruco maledice le aziende che hanno contribuito a infangare il nome dell'olio d'oliva italiano. “I grandi gruppi hanno ucciso il nostro mercato e la nostra reputazione”, racconta. “La mia passione è realizzare oli eccellenti che in pochi sanno fare.” Il frantoio impiega soprattutto tre tipologie di olive: moraiolo (intenso), leccino (prolifico) e frantoio (dolce). Le olive vengono lavate, schiacciate a formare una pasta, spremute per ottenere l'olio e conservate in enormi tinozze in acciaio inox, messe in infusione con azoto per escludere l'ossigeno. Centinaia di bottiglie scure attendono vuote in una sala di stoccaggio: vengono riempite con l'olio solo quando è pronto per essere spedito. Il Signor Marruco è orgoglioso della diversità dei suoi oli. “Leccino e frantoio sono morbide e dolci, come una bella donna”, dice. “Moraiolo è una donna forte e decisa, una roccia.” Io preferisco la roccia. Anche Spello mi è piaciuta molto, con i suoi muri di pietra fatiscenti, le stradine tortuose e gli edifici in marmo color pesca.Quindi sono tornata a visitarla e ho chiamato Mario Ciampetti, proprietario della fattoria Hispellum, che produce più olio di oliva degli Antonelli Franceschini ed è l'unico produttore di Spello con il suo frantoio personale. Il suo olio Terre Rosse viene venduto all'estero, anche in Svezia, Cina e negli Stati Uniti. “Non ambisco a vendere più olio nel mondo”, racconta il Signor Ciampetti. “Piuttosto desidero vendere il mio olio a chi apprezza il gusto dell'Umbria sul proprio piatto.” Come Cuore Verde, il suo olio viene realizzato solo con olive moraiolo giovani e da agricoltura biologica. Inoltre è kosher. Più delicato di Cuore Verde, conserva però quella che Ciampetti definisce “la stessa personalità forte del moraiolo: piccante e amara, non dolce.”
Mi mostra i resti di un monastero medievale attorniato da olivi e mi spiega che i documenti papali del 12° secolo attestano già la presenza degli olivi in questa zona. Secondo lui gli alberi più maturi producono olive migliori. “Come un uomo saggio che diventa più saggio con l'età, il gusto dell'olio migliora con l'invecchiare dell'albero”, precisa. Nel frattempo gli Antonelli Franceschini si sono prodigati per offrirmi la stessa ospitalità di Ciampetti,e mi hanno invitata a cena nel loro vasto palazzo rinascimentale nel cuore di Spello. I dipinti da museo e gli affreschi sui soffitti non sono riusciti a sorprendermi quanto le portate in tavola: due piatti preparati con fagioli risina, piccoli legumi contraddistinti dall'occhio nero, che il Signor Antonelli Franceschini ha contribuito a salvare dall'estinzione in Italia. Si crede che il fagiolo fosse coltivato nei pressi nel Lago Trasimeno dagli antichi Romani o dagli Etruschi. A metà del 20° secolo è però caduto nell'oblio. Un giorno, un agronomo umbro gli ha mostrato una bottiglia di semi. “Ha detto che me li affidava perché ne avrei fatto qualcosa di buono”, ricorda il Signor Antonelli Franceschini. “Li ho riprodotti per quattro anni, e il quinto anno ho raccolto 200 chili di risina.” La Signora Antonelli Franceschini mi spiega che il fagiolo non è realmente un fagiolo, ma un pisello chiamato Vigna unguiculata, detto anche fagiolo dall'occhio nero. Diversamente dalla maggior parte dei legumi secchi, non deve essere lasciato immerso in acqua prima della cottura. I fagioli devono essere appena coperti con acqua tiepida (quella fredda renderebbe dura la buccia), quindi cotti a fuoco lento per 50 minuti circa. La prima portata che mi serve è un pesce spada affumicato con rucola e fagioli risina. Subito dopo mi propone gamberi giganti dell'Adriatico ancora con il guscio, accompagnati da fagioli risina cotti con pomodori ciliegini a pezzi. I coniugi vendono i fagioli risina e altri legumi in eleganti scatole con l'etichetta Cuore Verde. Il giorno successivo, percorriamo strade tortuose e sterrate su e giù per le colline per visitare i loro oliveti.
Lungo la strada, mi danno alcune lezioni base sull'olio d'oliva. Lezione uno: il peggior olio del mondo viene imbottigliato nel vetro trasparente. Lezione due: conservare l'olio in una latta una volta aperto gli dà il sapore del cetriolo. Lezione tre: evitare l'olio d'oliva a basso prezzo, una bottiglia da 5 dollari al litro molto probabilmente non sa di niente. Da lì abbiamo camminato nell'erba alta per visitare i campi di fagioli, che erano in fiore. Tra i legumi c'era la lenticchia verde umbra e il cece baby, e varietà meno diffuse come il pisello selvatico roveja e un pisello quadrato che sembra un ciottolino, chiamato cicerchia. E naturalmente il risina. “Non sappiamo vendere”, dice la Signora Antonelli Franceschini. “Però sappiamo coltivare.” In quel momento ho sperato che mio padre fosse ancora vivo, così da potergli mandare una scatola di fagioli risina.