Queste capre senza stress danno latte a suon di musica
di Claudio Sampaolo
TESTATA: Il Giornale dell’Umbria
DATA DI PUBBLICAZIONE: 6/4/2014
Flavio Cova, ex attore e regista milanese, con la moglie Anne Lise e la cognata Aste, norvegesi, ha aperto 8 anni fa un allevamento del tutto particolare, dove gli animali vivono in pieno relax, anche con l'aiuto di Albinoni e Vivaldi
Forse sotto la tabella di legno della "Fattoria Ma' Falda", che compare all'improvviso dopo una delle cento curve, ora dolci ora contorte, lungo la strada statale 79bis che accompagna lo sguardo tra Todi e Orvieto, bisognerebbe aggiungere "stress free zone".
Del resto, basta entrare in questa piccola enclave, ideata attorno alla vecchia stazione postale e caravanserraglio del 1700, per trovarsi in un altro mondo, senza rumori e frenesia, dove si allevano allo stato brado bellissime capre camosciate delle Alpi, che danno latte ascoltando musica e poi muoiono tranquillamente di vecchiaia. Ma anche dove si produce formaggio seguendo il ciclo naturale degli animali e non quello del mercato, dove i tre cani (dei bei bastardoni, nero, bianco, marrone) non azzannano le caviglie degli sconosciuti, ma fanno a gara per portare un pallone (o quel che resta) a chiunque arrivi, i maiali di cinta senese razzolano e dormono nel fango, ma non si spaventano nemmeno se li osservi da un metro, le pecore nere Ouessant, nane e pelose, ruminano docili, e, per chiudere il "cerchio magico", Flavio Cova, la moglie Anne Line e la cognata Aste, norvegesi, che hanno messo in piedi la fattoria, hanno l'hobby di suonare. Non la "facile" chitarra, bensì pianoforte, flauto traverso, sax e violino. Concerti di campagna ai quali si sono aggiunte anche le due figlie Tosca (12) e Ambra (8). L'unico irrequieto, fuori contesto, è Dante, il caprone incaricato di procreare con l'intero gregge, che agita all'aria il suo "palco" di corna.
Alle tre del pomeriggio, gomiti e taccuino appoggiati ad un tavolo di legno in mezzo all'aia, Cova sbadiglia e racconta, gli occhi che ogni tanto diventano fessure, di chi lavora pesante e si alza presto al mattino.
Sorride: «. qui è cominciato tutto 8 anni fa e l'unica cosa che non abbiamo mai fatto è stato conteggiare le nostre ore di lavoro. Non avrebbe nemmeno senso. Non ci fermiamo praticamente mai. Mia moglie cura gli animali e le stalle (prima dava il latte col biberon ad una capretta, ora smanetta sopra un trattore., ndr) oltre all'ospitalità; mia cognata è la "casara", artefice dei nostri prodotti: crottino, tronchetto cinerino, capriola (una specie di Camembert) e ruzzola, un semi-stagionato di 45-60 giorni. Escono tutti dal nostro laboratorio, nel giro di 24 ore da quando il latte è stato munto, alle 7 del mattino, e poi messo in un bidone. Lì aspettiamo che la cagliata si rompa naturalmente ed iniziamo la produzione. Il siero residuo non viene smaltito con complicati sistemi, ma semplicemente dato ai maiali, che ne sono golosissimi».
Perdoni la domanda, ma come sono finiti sulle colline dell'Umbria un milanese e due norvegesi?
«Fino a 43 anni sono stato nel mondo dello spettacolo: teatro di piazza e danza, ma anche lavori con Dario Fo e Paolo Poli; ho fatto il mimo, l'attore, l'assistente alla regia, animato pupazzi. I miei genitori, Enzo e Giulia, venivano dalla campagna e soprattutto la mamma me ne aveva sempre parlato come un posto brutto e sporco, con gli insetti svolazzanti e tanta fatica da mettere in conto. Diciamo stressante. E me ne ero sempre tenuto lontano, ma l'idea era lì nascosta da qualche parte che aspettava. È cambiato tutto all'improvviso, quando io, single incallito senza una base fissa dove vivere, al seguito dei contratti che ottenevo, ho conosciuto la mia futura moglie, a Roma, dove ero per una regia teatrale. Anne Line, invece, laureata in teologia e studi orientali, andava e veniva con la Siria, per ricerche sui campi di lavoro; parla correntemente lingue antiche come ebraico ed aramaico e ora, nonostante le capre, è impegnata anche in un dottorato di ricerca all'istituto norvegese. Anche lei e Aste, che invece si è laureata a Bologna con Umberto Eco, avevano comunque un dna che le avrebbe portate verso la natura. Figlie di un pastore luterano, avevano girato le isole della Norvegia al seguito del padre, imbattendosi in decine di allevamenti e produttori di latte e formaggi. Per farla breve, quando abbiamo deciso di avere dei figli e di metter su famiglia siamo andati ad abitare prima in Toscana, poi qui. E siccome nel frattempo Aste aveva fatto una lunga e importante gavetta con una "casara" di Versailles, tra le più brave di Francia, riunire i nostri sogni e le fresche competenze su queste colline è stato quasi naturale. Le prime quattro capre sono arrivate da Versailles, tutte incinte, ma durante il lunghissimo viaggio hanno abortito. Loro amano una vita tranquilla. Adesso sono più di 150 e vivono serene all'aperto. Mangiano sulla collina: margherite, violette, erbe di tutti i tipi. Quando vogliono entrano nella stalla, modernissima, dove trovano fieno e distributore del sale. E sul tetto pannelli fotovoltaici capaci di produrre 50kwh, molto più di quello che serve».
E ascoltano sinfonie. Ma funziona?
«Sì, funziona. Noi siamo tutti amanti della musica, suoniamo, la ascoltiamo come sottofondo quando si munge. Così abbiamo provato anche con le capre, che gradiscono molto quella barocca, con molti archi, l'Adagio di Albinoni, Monteverdi, Vivaldi, Frescobaldi, qualche volta, di sera, la ninna nanna e cd con favole per bambini. Non che senza musica restino sveglie, ma è fonte di relax. Così come il jazz, la prima vera passione della mia vita. A 18 anni ero a Radio Canale 96, una delle prime radio libere di Milano. Giravo l'Italia registrando concerti jazz da mandare in onda, compresi quelli di UJ».
Tornando alle capre: è vero che da voi vanno in pensione?
«Nel recinto lì in fondo ci sono le due pensionate, una ha 13 anni. Vede, il loro ciclo vitale, partorire caprette e dare latte, dura 8-9 anni e per un senso etico e morale abbiamo deciso di farle finire di vivere in pace. In assoluto è una strategia antieconomica, ma che vuole, il nostro rispetto se lo sono meritato. Così come, quando producono, cerchiamo di non stressarle troppo. Facciamo una sola mungitura al giorno, in totale circa 50-60 litri di latte, invece che due, perché altrimenti bisognerebbe selezionarle, iperstimolarle e iperalimentarle. Perché poi? Per durare fino a 5 anni. Così invece la loro vita produttiva raddoppia e anche i caprini vengono più buoni».
Senza conservanti e additivi chimici, naturalmente?
«Mai visti da queste parti. La nostra lavorazione è interamente fatta a mano, usiamo solo tre ingredienti-base: latte crudo, caglio e sale, seguendo il ciclo naturale delle capre, "monta" a fine estate e parti a gennaio-febbraio. Perciò la produzione del latte e del formaggio si interrompe da metà novembre a metà febbraio. Il latte crudo è fondamentale, mantiene tutte le qualità organolettiche che invece il pastorizzato perde col trattamento termico. Sui conservanti, poi, ho una bella storia, emblematica».
Dica.
«L'anno scorso, un nostro vicino che passa mesi e mesi in barca, prima di partire ha fatto rifornimento di caprini. È stato via da giugno ad agosto e quando è tornato ne ha riportati indietro un po'. Li abbiamo mangiati assieme, qui fuori, un po' asciugati perché avevano perso siero e acqua, ma ancora molto buoni, anzi con un profumo più concentrato e più intenso, nonostante il caldo che ci può essere in mare, in estate, dentro una barca. Era bastato tenerli in frigo a 4 gradi. Semplicemente».
Dovesse dire qual è il problema più grande da affrontare?
«Non ci crederà: manca il fieno. In Italia si pensa solo a bovini e ovini, che mangiano qualsiasi cosa, soprattutto mangimi, pur essendo erbivori. Le capre no, sono esigenti, selezionano persino le erbette sulla collina. Dunque c'è bisogno di fieno verde, non quello vecchio, legnoso o pieno di muffe perché raccolto troppo tardi. Bisognerebbe avere 20-30 ettari di terra e seminarselo, ma chi se lo può permettere?».
Questa è comunque un'oasi, bella e isolata.
«Sì, ma la natura fa compagnia. Basta conoscerla e assecondarla».
E mentre la capretta curiosa gli mordicchia il maglione "melange" di lana, i cani dormono e il sole se ne va. È ora di tornare.