L’anno nero dell’olio
di Giulia Presutti
Una serie di sfortunati eventi: maltempo, ondate di calore e un alto tasso di umidità. Ma soprattutto un parassita. La famelica mosca olearia ha attaccato gli oliveti italiani e dato fondo alle riserve di extravergine. Una bottiglia su tre è andata perduta, mentre il prezzo dell’olio che si è salvato saliva alle stelle. E così il settore che ogni anno garantisce alle aziende italiane un fatturato di due miliardi è in ginocchio.
Con il rischio di un’invasione di prodotto straniero: nel 2014 le importazioni sono aumentate del 45%, a vantaggio di Grecia e Tunisia. L’extravergine proveniente dall’estero potrebbe presto “doppiare” quello italiano, che ha raggiunto a mala pena le 300 mila tonnellate (contro le 464 mila calcolate dall’Istat nel 2013). Le regioni dell’Italia centrale sono le più colpite dalla crisi: in Umbria la produzione è quasi dimezzata. Il “cuore verde” del Paese ospita gli olivi più antichi del mondo: si contendono il primato le campagne di Trevi e quelle di Giano, dove vivono piante millenarie. Eppure la regione produce appena il 2% dell’extravergine italiano: dagli 80 ai 90 mila quintali annui. «La percentuale è bassa perché siamo stati periodicamente colpiti da gelate che hanno ucciso gli olivi» spiega Giulio Scatolini, presidente di Aprol, l’associazione produttori olivicoli di Perugia. «Solo alcune piante secolari si sono salvate: le altre sono contorte, come sculture, perché gli agricoltori hanno dovuto tagliare i rami bruciati dal gelo». A dispetto di una storia difficile, l’olio umbro ha caratteristiche uniche: la varietà di olivo più diffusa, il moraiolo, contiene sostanze antiossidanti che aiutano a prevenire le malattie. Per Scatolini il frutto «assomiglia un po’ agli umbri: piccolo e poco appariscente, ma dal gusto intenso». Ma il 2014 non ha portato bene agli olivicoltori della zona, che secondo l’Aprol hanno perso il 50% del prodotto.
La primavera fresca e la maturazione precoce delle olive hanno fatto il gioco della mosca olearia. Un nemico che esiste da tempo, ma che nel 2014 ha attaccato gli oliveti con violenza inaudita. E soprattutto in anticipo rispetto al solito, tanto da cogliere di sorpresa i tecnici. «Un insieme di cause sfavorevoli per noi e favorevoli per le mosche», commenta Scatolini, aggiungendo che la qualità dell’olio che si è salvato «è ben lontana da quella a cui sono abituati gli umbri». Il 2015 è iniziato nel segno dell’ incertezza: nonostante le temperature basse a gennaio e febbraio, per il presidente di Aprol «bisogna aspettare di vedere come procede la stagione». Durante l’inverno le mosche si nascondono nei bozzoli per ripararsi dal freddo: occorrerebbe una gelata di alcuni giorni per ucciderle. Poi, dall’inizio della primavera «sarà necessario un monitoraggio continuo, per capire se la presenza dei parassiti richieda dei trattamenti sulle piante prima dell’estate». In Umbria le condizioni sono generalmente sfavorevoli alla mosca, perché il clima è continentale: «Dobbiamo solo sperare che non si verifichino le condizioni straordinarie del 2014». E così gli agricoltori hanno subito perdite enormi, mentre alcuni frantoi hanno dovuto acquistare le olive fuori dall’Umbria. In Puglia, ad esempio, dove è stato prodotto più olio del necessario nonostante l’anno difficile. Ma nel “cuore verde d’Italia” c’è anche chi è rimasto inattivo: il Frantoio di Spello, che dal 1947 si occupa della molitura delle olive raccolte nella zona Dop dei Colli Assisi- Spoleto, ha visto la produzione diminuire del 95%: 800 quintali di olio contro i 10 mila medi degli anni passati. Questa storica istituzione, nata nel clima di speranza del dopoguerra, è gestita da una cooperativa che unisce oggi circa 450 soci. Qui gli olivicoltori portano il raccolto per la lavorazione, mentre il surplus di olio rimane al Frantoio, che poi lo vende col suo marchio.
L’unione fa la forza, quindi, ma non basta. «I nostri produttori – racconta il direttore Yuri Amantini – hanno provato a raccogliere le olive, ma si sono accorti che la qualità non era quella dell’extravergine e hanno rinunciato. I pochi che sono riusciti a fare l’olio hanno chiesto l’appoggio di agronomi per contrastare la mosca. E sono stati anche fortunati». Buona sorte, dunque, e trattamenti per proteggere le piante. Però la maggior parte dei produttori non è riuscita a salvare le olive. Le difficoltà sono maggiori per chi fa olio biologico e non può utilizzare sostanze aggressive: Augusto Antonelli Franceschini, che della cooperativa si definisce «gemello» («Sono nato negli stessi giorni del Frantoio, nell’ottobre del ’47, da uno dei soci fondatori») è il titolare dell’azienda Cuore Verde, che oltre all’extravergine vende cereali e legumi, e con la crisi dell’olio ha perso un terzo del fatturato. «Faccio questo lavoro da 40 anni – dice – e non avevo mai visto una cosa del genere. Gli agricoltori erano impreparati, perché la mosca in genere non fa molti danni in Umbria». Attacchi periodici, ma non violenti come quello del 2014, provocato secondo Augusto da un inverno mite, seguito da un’estate fresca e umida. «L’anno scorso – conclude – ho prodotto 60 quintali di olio: quest’autunno ho fatto un tentativo, ma quando ho provato a molire ho capito che non c’era niente da fare». Spello ha però cercato un rimedio alla crisi: come spiega il direttore della cooperativa, «la nostra fortuna è che la scorsa stagione è stata la migliore in 60 anni di attività».
E così si fa fronte alla scarsità attuale con l’abbondanza del 2013. E per il futuro si spera nel clima, perché «la natura è soggetta al meteo». Oltre ad un ritorno della mosca, c’è anche il rischio di un uso eccessivo dei trattamenti antiparassitari: «Nei prossimi mesi ci sarà un’attenzione maggiore rispetto all’anno passato» spiega Augusto Franceschini. Poi aggiusta il tiro: «La mia paura è che l’allerta sia troppa: c’è il pericolo che vengano svolte pratiche inutili, che avvelenano il nostro territorio, finora sano e incontaminato».