Orvieto la città magica dalle mille sfumature
di Elena Barassi
Articolo finalista
ESTATA: lavocedinewyork.com
DATA DI PUBBLICAZIONE: 28 febbraio 2014
Sembra uscita da un libro di fiabe, arroccata com’è su un’alta rupe isolata dal mondo. Poi si scopre che qui la storia ha lasciato un’impronta indelebile e che i paesaggi sono un incanto. Come ben sanno Martin Scorsese e Richard Gere
Irresistibile Orvieto. Si viene per visitare un borgo di rara bellezza, di storia antichissima dove tutto alimenta il desiderio di osservare, assaporare, esplorare e si scopre che il gotha del cinema internazionale l’ha già eletta da tempo suo buen retiro. Ospite abituale di Colin Firth, Daniel Craig, l’ultimo strepitoso James Bond, cerca casa da queste parti, ma è facile incontrare in uno dei tanti ristoranti della zona, anche Martin Scorsese, come pure il super affascinante Richard Gere, ospite fisso di Villa Malva, splendida costruzione, sede di un moderno studio di registrazione, insieme a Celine Dion. È un piccolo fiore, Orvieto, in una landa che più verde non si può. È il cuore dell’Umbria, terra di forti colori, di un popolo di storia millenaria, dove tutto sussurra di antiche leggende, di paesaggi infiniti e dove lo sguardo si perde con struggente emozione. Una storia, quella di Orvieto, cantata e tramandata da mille generazioni che affondano le proprie radici nel popolo etrusco che su quel "sasso che si erge verso le nubi al cielo" (Saxum per nubila coeli surgit), come declamò nel Duecento un poeta orvietano, edificarono quella che rimarrà una delle più fascinose e ricche città della loro straordinaria cultura. Quel masso tufaceo di notevole superficie, con pareti altissime che sembrano fatte ad arte per proteggere dagli invasori, poggiato su un rilievo isolato sarà il perno, nei secoli a venire, di un borgo medioevale di rara bellezza a forma, va detto per dovere di cronaca, di cuore. Qui svetta maestoso ed imponente il simbolo della città nell’immaginario collettivo, il Duomo, anche detto il Giglio d’oro delle cattedrali, per i mosaici che ornano la sua impareggiabile facciata e per gli interni, un tripudio di opere d’arte e per un gioiello artistico, la Cappella di San Brizio, sulle cui pareti il cortonese Luca Signorelli affrescò (1499-1504) un Giudizio Universale che è una delle più eccelse testimonianze della pittura italiana. E da qui si snoda un dedalo di strade, stradine e viuzze, su cui si affacciano, come facenti parte esse stesse dell’arredo urbano, piccole botteghe di alto artigianato.
Artigianato, mon amour
Svetta tra queste un’arte antica, anzi antichissima, tramandata dalle abili donne, gelose custodi dell'arte tessile appresa dalle nonne, chine sui ferri o al telaio per lavorare sottilissimi fili fino a farne preziosi centrotavola, eleganti abiti da sposa, ma anche insolite spille. A tenere in vita l’ars wetana, o l’antica arte del merletto orvietano, il cui ornato è arricchito da foglie d’edera, uva, animali, tutti ben presenti nei bassorilievi del Duomo e che può raggiungere quotazioni di altissimo prestigio, tre piccole botteghe. Quella di Manuela Ciotti e quella di Loretta Lovisa, sono ideali per chi cerca la tradizione pura del merletto, ambedue ubicate nel quartiere medioevale. Natalina Ronca è invece l’estrosa merlettaia dell’atelier Alina che ha saputo applicare tutto il gusto della tradizione ad oggetti di design e fashion con risultati sorprendenti. Gli uomini, ovviamente, non sono da meno. Le loro mani, ruvide ed esperte di moderni Geppetto, levigano pezzi di legno fino a trasformarli in burattini, animali tridimensionali o in mobili dall'impronta esclusiva. Su tutte, la bottega Michelangeli ha la location più suggestiva, un teatro ottocentesco. Dalle scenografie all’interior design vengono realizzati pezzi unici, oggi presenti in ogni parte del mondo, il cui protagonista assoluto è il legno. La manualità degli orvietani non si ferma qui. C’è un arte che affonda le proprie radici nella civiltà etrusca e che tuttora, passando attraverso i secoli in cui si raggiunsero apici di creatività, con massimi picchi tra il Duecento e la prima metà del Trecento, si tramanda attraverso le abili mani dei “vascellari”, i custodi di ogni segreto dell’arte della ceramica. E se per fare un tuffo nel passato è sufficiente una visita al Museo Archeologico Nazionale e al Museo Claudio Faina, oppure consultare il tomo di Pericle Perali Ceramiche orvietane dei secoli XIII e XIV: note su documenti, in cui ci si riferisce al primo vascellaro orvietano in data 1211, permettendo così di datare la ceramica orvietana come la più antica tra le altre note dell'epoca medievale, una visita ad Agrisio Ciarlora, in località Rocca Ripesena farà scoprire dei manufatti di estrema raffinatezza, frutto di un sapiente lavoro di tornio.
La città sotto la città
E da Rocca Ripesena, dal cui belvedere la vista è a perdita d’occhio, si ritorna ad Orvieto, perché qui c’è un mondo nascosto dalla luce del sole, che da solo vale una gita. Un mondo sotterraneo fatto di cunicoli, grotte e pozzi nato ben 2.500 anni fa per soddisfare quello che era il reperimento del bene più prezioso. L’acqua certo, un bene indispensabile ma purtroppo assente sull'alto pianoro della Rupe orvietana tanto da far nascere l’esigenza di scavare profondissimi pozzi. Profondi, angusti, a sezione rettangolare, precipitano a strapiombo per decine di metri alla ricerca delle vene sotterranee. Di questi il più suggestivo, il Pozzo di San Patrizio, fortemente voluto da papa Clemente VII nel 1527, un’opera architettonica di sapiente ingegneria di gigantesche dimensioni, 54 metri di profondità, 13 di diametro, che ha dell’incredibile se solo si pensa all’epoca in cui fu realizzato. Si scende giù, sempre più giù, attraverso una rampa elicoidale, doppia addirittura per non ostacolare la discesa e la salita lungo i 248 gradini, si getta come vuole tradizione una moneta e si esprime un desiderio, perché, come dice pure l’iscrizione posta all’entrata, Quod Natura Munimento Inviderat Industria Adiecit: Ciò che non aveva dato la natura, procurò l’industria! Suvvia, aiutati che il ciel t’aiuta!!. Usciti dal pozzo impossibile non resistere al richiamo della città underground: un dedalo di cunicoli, un percorso attraverso una città scavata nel tufo per rivivere per qualche attimo la vita quotidiana, dagli Etruschi ai giorni nostri. Ed ecco profilarsi davanti agli occhi più di 1.200 grotte, cantine per la fermentazione del vino, magazzini per la conservazione degli alimenti, cisterne per l’acqua e cave di pietra. Ma non solo. Lo sguardo si perde al cospetto di forni per ceramiche, concerie, piccionaie ed addirittura dei veri e propri frantoi per l’olio. Il più rappresentativo al n 536 nei pressi della Chiesa di San Francesco. Qui nei meandri della terra sorge il Mulino di Santa Chiara, di epoca etrusca ma che fu utilizzato fino al secolo XVII d.C. dove sono ben visibili le enormi macine in basalto, le vasche ed i ripostigli per le olive, testimonianza di un insediamento produttivo già di tipo semi-industriale. La sanno lunga gli abitanti di Orvieto in questo campo. Anche ai giorni nostri, infatti, l’olio orvietano non teme rivali. Uno su tutti quello di Domenica Fiore, miglior olio al mondo 2013 secondo la giuria del New York International Olive Oil Competition.
Terra di santi, terra di beati
Dal profano al sacro e si va a Culata del Diavolo, secondo la leggenda il luogo in cui atterrò, in una rovinosa caduta dal Paradiso, Lucifero. Oppure a Parrano, poco distante da Orvieto dove si trovano le Tane del Diavolo. Luogo di culto nei secoli addietro, da come si evince dai resti di cibi di rara qualità scoperti all'interno, massima espressione di riti propiziatori in epoche pagane, le tane sono un complesso di grotte con ingressi nascosti fra dirupi rocciosi di difficile accesso, canyon, pareti scoscese e cascate. Su tutte, tre non sono da mancare, la Tana principale inferiore, quella Superiore e la Tana del faggio, in prossimità, ca va sans dire, del Ponte del Diavolo, fosse solo per la conformazione altamente suggestiva e per quei tratti marcatamente labirintici che rendono il luogo ad alta emozione. E all’imbrunire è tempo di ritornare in questo magico borgo, dove il tempo sembra essersi cristallizzato. Domani c’è ancora tempo per assaporare lentamente tutte le bellezze ancora da scoprire di questa terra incantata. Da visitare Palazzo del Gusto. Nelle cantine dell'ex Convento di San Giovanni, un labirinto di cunicoli etruschi scavati nel masso tufaceo, si trova l’Enoteca Regionale in cui sono presenti i migliori vini, mentre all’interno del chiostro anche una mostra-mercato dei formaggi umbri. Pasticceria Adriano. Imperdibile una visita ai sotterranei, un complesso labirintico dove venti secoli di storia si snodano tra sistemi idraulici di epoca etrusca, butti medioevali e strutture rinascimentali.
Gli eventi da non perdere
Festa della Palombella, giorno della Pentecoste. Storica rappresentazione della festività della Pentecoste nella piazza del Duomo. E’ un rito che si rinnova ogni anno da sei secoli, da quando agli inizi del 1400 la nobildonna Giovanna Monaldeschi della Cervara stabilì, con un lascito, l'istituzione di questa caratteristica festa popolare che rappresenta la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli e sulla Madonna. Orvieto con Gusto, dal 19 al 27 aprile 2014. Manifestazione ispirata alla cultura delle città slow nazionali ed internazionali e dedicata alla cultura dell'alimentazione e del buon vivere. Umbria Jazz Winter, Natale/capodanno. Storica manifestazione per gli amanti del jazz, una serie di concerti in palazzi storici durante il periodo di fine anno, momento in cui la città si popola di molti appassionati di musica e non solo. Concerti e bande musicali per tutto il periodo della manifestazione e concerto gospel presso il Duomo.
I prodotti tipici
Oltre al vino, che vanta una tradizione millenaria e punte di eccellenza internazionale, i prodotti tipici dell’Orvietano si rifanno ad una tradizione contadina ancora viva nelle campagne e nei borghi del territorio. Ecco i più particolari. Il vino Molti i vini eccellenti presenti in Umbria ma l’Orvieto Classico è certamente considerato quello storico. Il territorio dall’aspetto collinare, ben assolato, ha incuriosito gli stessi etruschi che qui hanno iniziato la coltivazione della vite. I vini Doc della zona sono l’Orvieto e l’Orvieto Classico, un vino innovativo è l’Orvieto Rosso Doc, eccellenti il Cervaro de La Sala, il Fobiano de La Carraia, il Febeo di Cardeto. Il Muffato de La Sala, il vino dai riflessi blu, è stato insignito dell’Oscar per il miglior vino dolce nel 1998. Le uve sono lasciate maturare più a lungo per consentire lo sviluppo di un tipo di muffa nobile. L'olio Dal colore che varia dal verde al giallo, e un sapore fruttato con media sensazione di amaro e piccante, l’olio extra Vergine d’Oliva “dei Colli Orvietani” è eccellente su insalate di funghi porcini, zuppe di verdure e formaggi di media stagionatura. I formaggi e il Cenerino La specialità del territorio è il Cenerino, un formaggio di nicchia prodotto secondo metodi antichi con il latte di pecora, la cui stagionatura avviene in due fasi: 3 mesi sotto la cenere e 4 mesi in contenitori di terracotta. Di sapore deciso, il suo aroma è influenzato dal tipo di legno scelto per la stagionatura. La pera di Monteleone d’Orvieto Detta anche “bistecca del villano” per la consistenza e poiché ritenuta assai nutriente, è un frutto che, assieme alla Mela Roggia, rischia d’estinguersi. Per scongiurare ciò sono in corso attività destinate ad una sua completa salvaguardia e valorizzazione. Cinta senese Si tratta di una razza suina originaria della provincia di Siena ma diffusasi, nel corso dei secoli, in quasi tutta l’Umbria. Ad Orvieto, la prima concreta testimonianza della presenza di questo prezioso suino è attestata da una brocca medievale, recuperata in uno dei “butti” della città, che riproduce le sembianze dell’animale. Tartufi e funghi Oltre ai funghi appenninici che in queste zone si rinvengono in gran numero, il territorio dell’Orvietano (e in particolare misura quello di Fabro) può vantare la presenza non effimera del pregiatissimo Tuber magnatum pico (tartufo bianco) al quale viene dedicata, ogni anno, una mostra mercato nazionale; altre varietà di tartufi sono egualmente presenti. Prodotti del forno Da segnalare, tra i tanti, la lumachella, una schiacciata a forma elicoidale salata e condita con pezzi di formaggio, lardo, prosciutto, pepe, altre spezie e la Torta di Pasqua, una pizza salata lievitata con uova, formaggio pecorino, spezie. Umbrichelli Una varietà locale di pasta fresca, una specie di grossi spaghetti fatti a mano con farina e acqua. Ottimi con tartufo o cinghiale.