Sagrantino: il vino sacro di Montefalco
di Inga Vaisla
TESTATA: Vip Lounge
DATA DI PUBBLICAZIONE: Marzo 2011
Vino “sacro” e “della festa”Esprimere cosa rende unico il sagrantino, coltivato esclusivamente in cinque comuni della zona di Montefalco,villaggio di antica fondazione romana, richiede più di una parola, per quanto ben studiata. È il suo carisma. È la sua essenza. Èil suo mistero. E forse è anche il suo luminoso futuro.La cultivar del sagrantino, come le sue proprietà organolettiche, non presenta alcun legame di parentela con nessunodegli altri vitigni italiani. Pare che la sua origine vada cercata tra i rami dell’albero genealogico del saperavi georgiano, al di làdel Caucaso, da dove potrebbero averlo portato alcuni frati francescani che avevano avuto modo di apprezzarne l'alto gradozuccherino e anche l’eccellente resistenza al marciume.Per quanto possa sembrare incredibile, già nel XIV secolo a Montefalco erano in vigore leggi simili all’attualesistema di denominazione inaugurato dai francesi, che si invocavano per tutelare il “sacro vino” locale! I produttori che nonpossedevano vigne di proprietà ma che mettevano in comune il proprio raccolto erano soggetti alla stessa pena prevista per iladri, mentre nel XVII secolo chi avesse tagliato una pianta di vite di proprietà altrui era punito con la morte.
Tutto per unvino che all’epoca non veniva praticamente venduto: era usato solo per le feste religiose e familiari, e dai sacerdoti perofficiare la comunione. Non a caso, la denominazione “sagrantino” si fa risalire ai due concetti italiani di “sacro” e “sagra”.Secco e... dolce!I sagrantini secchi di Montefalco rappresentano una ventata di relativa novità nell’enologia locale. Un tempo, ilsagrantino era realizzato solo nelle versioni dolci. Dopo la vendemmia, i grappoli venivano lasciati appassire per alcuni mesi,ottenendo una variante appunto passita del vino. La spiegazione di tale scelta è semplice: questa cultivar è caratterizzata dabacche piccole, e per natura non dà raccolti abbondanti.
Tali peculiarità conferiscono al sagrantino un contenuto di tannini eccezionalmente alto, difficilmente “educabile”.La soluzione a cui si giunse nel medioevo fu quella di bilanciare i tannini attraverso l’appassimento, processo che concentragli zuccheri naturalmente presenti nelle bacche. I vini così ottenuti erano perlopiù carichi, ricchi e dal grande potenziale.Con il tempo è apparsa la produzione anche di vini più secchi attraverso i quali è possibile accostarsi alle eccezionalipossibilità di questa varietà unica.Come il passito, anche il secco invecchia per 30 mesi, di cui 12 in botti rigorosamente di rovere, la cui scelta, età ecapienza dipende dalla filosofia del produttore e dal suo stile d’elezione. La gradazione minima stabilita per legge è di 13%vol. per il secco, 14,5% vol. per il passito.Il sagrantino secco è di colore rubino carico, al naso si presenta intenso con note persistenti di frutti di bosco, tartufoe mora, al palato asciutto e ben strutturato, dal gusto mai uguale a se stesso.
Stupisce quanto il primo sorso sia diverso dalsecondo, a sua volta irripetibile come ognuno dei successivi, fino all'ultimo. È un maestro nell’arte del trasformismo! Proprioper questo è considerato perlopiù come un vino per intenditori che siano capaci di apprezzarne il carattere ricercato emutevole. È sicuramente un vino intellettuale, che ama essere spiegato in modo accattivante.Il passito da dessert, ottenuto da uve sagrantino stramature lasciate ulteriormente appassire per due mesi, appare diun rosso granato vivace, al palato si presenta dolce ma ben bilanciato, con nota finale tendente al secco. La tiratura (2 milionidi bottiglie, il 40% delle quali viene venduto entro i confini dell’Umbria) non è che una goccia nel mare se paragonata allaproduzione di altre regioni italiane. Quindi, non tutti gli esperti di vino possono vantarsi di aver davvero provato, almeno unavolta, del sagrantino; quelli che l’hanno fatto ne hanno sicuramente annotato le caratteristiche in un qualche quadernino cheviene ora gelosamente custodito come una reliquia.I paradossi del sagrantinoNegli ultimi anni l’interesse per questa varietà ha suscitato uno studio certosino delle sue proprietà.
Il risultato forsepiù inatteso di tali indagini è stato la divulgazione del suo sensazionale tenore polifenolico. In altre parole, rispetto alle 25 piùdiffuse varietà di rossi, il sagrantino presenta una concentrazione record di polifenoli, che non sono solo responsabili delcolore, aroma, corpo e asprezza del vino, ma svolgono anche un’efficace azione antiossidante e antibatterica. Ne contiene4174 mg/kg, quasi il doppio della maggior parte delle altre cultivar, che arrivano al massimo a 2500 mg/kg. Per esempio, ilcabernet sauvignon, considerato il rosso numero uno nel mondo, ha un contenuto di polifenoli due volte inferiore a quello delsagrantino.Ancora agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, nella zona di Montefalco solo 60 ettari erano coltivati a sagrantino.Oggi si è arrivati a 600 ettari (più altri 300 di nuovi impianti) distribuiti in 50 proprietà, e il volume della produzione si ètriplicato negli ultimi tre anni. Questo dà al sagrantino di Montefalco un certo vantaggio per il futuro. Ad esempio,l’opportunità di portare il volume della produzione di qualità a un livello tale da soddisfare la richiesta, e allo stesso tempo diconsolidare una propria nicchia nel mercato internazionale.E ancora: il sagrantino è un vitigno difficile, capace di dare i risultati attesi solo con l’intervento di un enologosapiente.
Molto è già stato fatto in questa direzione. Il sagrantino di Montefalco ha ottenuto la denominazione DOC nel 1979 ela DOCG nel 1992.Vittoria!Questo lavoro non ha tardato a portare i suoi frutti. Un vino ottenuto da uve sagrantino fu premiato per la prima voltaa una degustazione professionale nel 1993. Era il noto “25 anni”, un sagrantino di Montefalco in purezza, prodotto da uveselezionatissime per il venticinquesimo anniversario del podere Caprai, che da allora si è fregiato dei tre calici del GamberoRosso e li difende tuttora. Già da svariati anni, il sagrantino di Montefalco “25 anni” rientra tra i dieci migliori vini d’Italia, erappresenta uno dei vini cult della penisola.Ogni vino “di razza” si distingue per caratteristiche diverse. L’essenza del sagrantino è l’aroma intenso, il gustoconcentrato, la struttura tannica notevole, il corpo pieno e il tasso alcolico abbastanza elevato. E nonostante questi segnidistintivi si possano intuire in tutti i bicchieri di qualità, tuttavia ciascuno degli enologi di Montefalco ricerca e trova, conrisultati a volte particolarmente riusciti, un’interpretazione personale di questo incredibile vitigno.
ARNALDO CAPRAI, IL “PADRE” DEL SAGRANTINO
Se la zona si è guadagnata un nome così prestigioso, lo si deve in gran parte ad Arnaldo Caprai Val di Maggio, il cui ramo diattività principale non aveva nulla a che fare con l’enologia, bensì con... l’industria tessile. Se non fosse che sognava un vinotutto suo.Nel 1971, Caprai acquistò 42 ettari vicino a Montefalco, che conosceva bene, così come sapeva tutto del “vitigno sacro” e delvino che se ne otteneva. L'amore per questa varietà antica lo spinse non solo a destinare al sagrantino le sue vigne migliori, maanche ad acquistare poco a poco gli appezzamenti più adatti ad esso. Nel 1988 l’amministrazione della tenuta vinicola passò alfiglio Marco, fresco di laurea in... scienze politiche. Una decisione che si rivelò ancora una volta felice, e destinata a fare lastoria del sagrantino e della sua regione. Un terzo passo fu altrettanto riuscito ed epocale: Marco Caprai riuscì a iniziare unacollaborazione con due enologi di primo piano, Attilio Pagli, creatore di tanti vini italiani blasonati, e il professor Valentidell’università di Milano, noto genetista specializzato in cloni di vite, a cui fu affidato il compito di rintracciare e identificareil vitigno madre del sagrantino.I 60 cloni selezionati in piccole vigne appartenute da tempo immemorabile sempre alle stesse famiglie, oppure “di nessuno”,furono il primo passo verso il salvataggio del sagrantino e la preparazione del suo ritorno in auge. Oggi in Italia sono venduticirca un milione di piantoni di sagrantino l’anno. Purtroppo la maggior parte di essi viene prodotta all’estero, in assenza dinormative che ne regolamentino la legittimità della denominazione.