Nell'Olimpo dell'Arte
di Lee Marshall
Menzione speciale
TESTATA: Condè Nast Traveller UK
DATA DI PUBBLICAZIONE: Giugno 2011
Adagiata su di un piedistallo naturale, Orvieto, cittadina collinare Umbra, tiene fede alla suaposizione elevata: intatta e lontana dalle folle, ospita alcuni degli edifici più belli d’Italia.Cos’hanno di speciale le cittadine collinari dell’Italia centrale come Orvieto? Il loro fascino vaben oltre il mero pittoresco. Penso abbia a che fare con quella sensazione che si provaaggirandosi per le loro strade, la sensazione che si tratti, tutt’oggi, di fiere città stato anzichédi cittadine in cui si trovano a vivere, piuttosto stipate, non più di 20.000 anime.
Orvieto, inparticolare, pare essere stata progettata apposta per la vita civile. La sua posizione elevata ele sue inespugnabili rupi furono scelte per scopi difensivi in un’epoca, il Medioevo, in cuil’area compresa fra Roma e Firenze era alla mercé di fazioni bellicose spinte da mireespansionistiche. Ma, al chiuso delle sue porte e delle sue mura, questa città-castello potevadedicarsi alla cultura ed al decoro urbano.Costruito nel corso di più generazioni, il Duomo di Orvieto è a pieno titolo una delle settemeraviglie d’Italia; ed il fitto tessuto medievale della cittadina ha permesso all’odierno centrostorico di mantenere dimensioni a misura d’uomo, con i suoi caffè e i suoi ristoranti, le suelibrerie, le sue botteghe artigiane e i suoi negozi di antiquariato, la sua assenza di traffico edun’atmosfera generalizzata di benessere tranquillo ed acculturato. L’orgoglio civico di Orvietoemerge in occasione di eventi quali l’annuale festa del Corpus Domini, quando unaprocessione di oltre 400 cittadini in costume medievale sfila per le sue vie o nel graziosoTeatro Mancinelli, uno di quei teatri provinciali ben frequentati, pieni di specchi, lampadaripendenti e lussureggianti affreschi neoclassici che agli Italiani riescono così bene.I neofiti dovrebbero provare a raggiungere Orvieto percorrendo la strada che, provenendo daBolsena, si snoda a un certo punto sul crinale opposto alla città.
La vista che li accoglie è undistillato di virtù tutte Italiane: un fitto agglomerato di torri, chiese e tetti di tegole rosse che sifondono in un tutt’uno con la rupe da cui sorgono, contornato su tutti i lati da un paesaggiobucolico punteggiato da vigneti, oliveti e piccole aziende agricole.Tuttavia, la maggior parte dei visitatori giunge in città in treno o percorrendo l’autostrada A1da Roma o Firenze; e qui, sul lato orientale, la rupe rocciosa prevale sull’abitato.L’affioramento vulcanico su cui sorge la cittadina si staglia sulla pianura sottostante comeuna ripida guglia giunta in qualche modo qui direttamente dalla Monument Valley. Il cielo e ilclima sembrano influire sull’aspetto che la rupe offre allo sguardo. Nelle giornate buie e tetre,l’ho vista farsi fosca e scura come le montagne di Mordor. D’estate, invece, nel bagliore delmezzodì, si fa polverosa e sbiadita per tingersi poi di un rosso fulvo al calar della sera. Epassata la pioggia, assume il colore della terra bagnata e, come quest’ultima, pare esseresul punto di sbriciolarsi.Orvieto è un perfetto esempio del carattere spiccatamente sostenibile ed ecocompatibiledella cittadina collinare Italiana. Le vie anguste tengono a bada il traffico e, in ogni caso, lacittadina non è proprio di quelle in cui avresti mai bisogno di un’automobile. La maggior partedei visitatori arriva in treno e raggiunge, poi, la città con la funicolare che li conduce fino aPiazza Cahen dove piccoli bus elettrici li attendono per trasportarli alla Piazza del Duomo.
Chi sceglie l’auto, può parcheggiare nei pressi della stazione e seguire lo stesso percorsooppure sostare lungo il lato occidentale delle mura, al Foro Boario, da dove una scala mobileed un ascensore scavati nella viva roccia depositano i turisti nel cuore della città medievale amó di macchina del tempo.Se vi è un edificio che può riassumere in sé la gloria cui piccoli comuni indipendenti delcentro Italia come questo poterono assurgere nel Medioevo, questo è sicuramente il Duomodi Orvieto. Questo miracolo architettonico striato a bande alternate di marmo scuro e pallido,fu eretto, come tutte le grandi cattedrali gotiche Italiane, nell’arco di diversi decenni oaddirittura secoli, come una quercia piantata per le generazioni a venire. Assennatamente, lagente del posto iniziò ad usare l’edificio quando non era ancora altro che un cantiere; laprima messa vi fu celebrata nel 1297, sette anni dopo che Papa Niccolò IV ebbe posto laprima pietra; la grandiosa facciata in pietra, con il suo gioco geometrico di triangoli,quadrilateri e cerchi, i suoi mosaici dorati e le sue preziose guglie, non fu propriamenteultimata fino al 1380 mentre il superbo interno è rimasto un cantiere aperto fino agli inizi delXVII secolo. Si potrebbe, di fatto, dire che il Duomo non sia stato propriamente ultimato finoal 1970 quando le tre porte bronzee realizzate dallo scultore Emilio Greco furono installatesulla facciata per sostituire le vecchie porte lignee provvisorie che si trovavano lì sin dal XIVsecolo.
Del Duomo di Orvieto la prima cosa che colpisce sono le dimensioni celestiali; la seconda èl’umanità dei particolari. La facciata pare essere stata progettata per impressionare; ma salitela scalinata e osservate i quattro panelli di bassorilievi marmorei che affiancano i portali. Qui,una serie di scene tratte dal Nuovo e dal Vecchio Testamento, ospita alcune delle piùstraordinarie sculture gotiche dell’Italia intera. Quelle poste nella fascia più alta sono difficilida vedere senza l’ausilio di un binocolo o di uno zoom, ma, per fortuna, alcune delle figurepiù squisite si trovano al livello inferiore. Nella “Creazione dei Pesci, degli Uccelli e dellePiante”, lo scultore Lorenzo Maitani è riuscito a trasporre nel marmo l’effetto dei pesci chenuotano appena sotto il pelo delle rapide acque di un torrente.L’interno è di dimensioni maestose; ma la tenue luce brunita che penetra attraverso lefinestre di alabastro e la semplicità della navata scandita dai pilastri che sostengono le arcate[N.d.t.: le navate del Duomo sono tre], più Romanica che Gotica, più vicina alla chiesa delleorigini che ai fasti del Cattolicesimo, la rendono una delle cattedrali più tranquille e spiritualid’Italia.Il Duomo mostra, tuttavia, anche una sua faccia ricca, teatrale e appariscente: gli affreschidelle Storie degli Ultimi Giorni realizzati nella Cappella di San Brizio fra il 1499 e il 1504.
Qui,Luca Signorelli ha lasciato un testamento artistico che rivaleggia per tecnica e concezionecon la Michelangiolesca Cappella Sistina. Nelle scene dell’Anticristo, della Resurrezionedella Carne e della Chiamata degli Eletti, il Signorelli si trovò combattuto fra la necessità diincutere soggezione ed educare ed il desiderio di fare sfoggio della propria abilità. LaResurrezione della Carne pare ritrarre una gratuita gara di body-building, incoraggiata da unartista ansioso di mostrare a tutti la sua conoscenza della muscolatura umana e la suapadronanza della prospettiva. Una scena simile è quella che ci riserva la lunetta della Finedel Mondo dove tre vittime della peste sono ritratte appese a testa in giù con audace scorcioprospettico. Il ciclo di affreschi è un perfetto esempio di esuberanza pittorica Rinascimentale,lontanissimo dalla schiva devozione che alberga nella facciata ma non meno piacevole pertale motivo.L’altra cosa da fare a Orvieto è andare alla scoperta delle sue viscere sotterranee. La rupetufacea su cui sorge la cittadina è percorsa da un intricato dedalo di cantine, grotte, passaggie pozzi verticali. Sotto forma di blocchi da costruzione, il tufo è una pietra portante robustaquanto il marmo, ma la si può tranquillamente scavare con un cucchiaino. E questo sin daitempi degli Etruschi, hanno fatto gli abitanti del luogo, impiegando mezzi più adatti allabisogna per ricavare dal tufo cantine per il vino, rimesse, condotte idriche e rifugi segreti incui nascondersi dalla guerra e dalle lotte che sconvolgevano il mondo esterno.Organizzato dall’ufficio turistico di Orvieto, il tour “Orvieto Underground” è una piacevoleintroduzione a questa città sotterranea alternativa. Snodandosi lungo appena due degli oltre1200 cunicoli (documentati) scavati dall’uomo che penetrano nelle profondità della roccia, ilpercorso porta il visitatore alla scoperta di cave, mulini per la molitura delle olive, concerie,fornaci per ceramica, forni e addirittura piccionaie composte da ordinate scacchiere di nicchie(i volatili venivano mangiati, non ammirati da queste buche; durante il giorno i piccioni silibravano in volo dalle cavità scavate sul fianco della rupe per andare a caccia di cibo e se netornavano la sera pingui e pronti per il forno).
Qua sotto la temperatura rimanecostantemente a 15°C – un ambiente in cui godere di un’incantevole frescura in estate e diun piacevole tepore in inverno.Tuttavia, il principale motivo per cui gli abitanti di Orvieto scavarono cunicoli nella roccia eral’acqua. In cima a questa rupe porosa, l’acqua che cade dal cielo si perde in un batterd’occhio. Le sorgenti che scaturiscono alla base della rupe dove il tufo incontra uno strato diargilla impermeabile erano perfette in tempo di pace; ma stretti d’assedio fra le mura dellaloro pressoché inespugnabile città-castello, gli abitanti di Orvieto dovevano poter contare sudi un approvvigionamento idrico affidabile. Una risposta era data da cisterne di acquapiovana alimentate da condotte scavate in parte dall’uomo e in parte da madre natura;tuttavia, l’unico metodo del tutto sicuro era scavare la roccia per raggiungere la falda freatica.L’esempio più impressionante di quest’ultimo sistema risale al 1527 quando Papa ClementeVII, rifugiatosi a Orvieto per sfuggire al Sacco di Roma, commissionò all’architetto Antonio daSan Gallo la costruzione di un pozzo in grado di rifornire l’intera città.
Dieci anni più tardi,vedeva la luce il Pozzo di San Patrizio, forse, dopo il Duomo, il monumento più importante diOrvieto.Profondo sessantadue metri e largo tredici, il pozzo è opera ingegneristica di notevolevalenza. Due scale a chiocciola sovrapposte e indipendenti scendono a spirale fino al fondodel pozzo, formando una sorta di gigantesco filamento di DNA Rinascimentale; i loro comodiscalini potevano essere agevolmente affrontati anche dalle bestie da soma utilizzate perriportare l’acqua in superficie. Scendendo lungo le 72 arcate che si affacciano sulla cannaprincipale del pozzo, pare di trovarsi in una stampa di Escher. La coppia di Romani che miprecedeva nella discesa vedeva la cosa in maniera meno metaforica: “Cinque Euro”, silamentava il marito con la moglie, “per scendere e risalire tutti questi scalini!”.L’Orvieto turistica si limita ad una sola via dei souvenir, la Via del Duomo dove, in ogni caso,l’insistenza dei negozianti è roba da ragazzi in confronto a Firenze, Roma o Venezia. Vale lapena perdersi nei vicoli circostanti (potrete orientarvi, farvi un’idea della fisionomia dellacittadina e sbirciare all’interno di alcuni del segreto dei suoi giardini salendo in cima allaTorre del Moro).
Quello di San Giovenale, posto al margine occidentale della rupe tufacea, è il rione di Orvietoche più ha conservato l’atmosfera di villaggio: un fitto labirinto di casette basse collegate davicoli angusti e scale che conducono fino all’omonima chiesa, rimaneggiata per la prima dimolte volte nel lontano 1004. D’estate, la gente del posto trasforma la piazza antistante lachiesa in un vero e proprio salotto all’aperto, dove ci si può godere il fresco della seraammirando un panorama di quelli per cui si è venuti in Italia: affacciandosi dalle mura lafertile valle del Paglia, con i suoi campi rigati da ordinati vigneti cui fa da contorno il giallo deigirasoli, si apre verso nord orlata dal chiaroscuro dei crinali delle colline erose che sisuccedono fra Allerona e Fabro. Venite qui al tramonto con una bottiglia di Orvieto Classicofresco e uno spicchio di pecorino saporito. Sì, la dolce vita può essere davvero così semplice.