Il giardiniere di Gubbio - Destinazione Europa
di Robin Trinca
TESTATA : theaustralian.com.au
DATA DI PUBBLICAZIONE : 13 novembre 2010
Fabio arriva vestito con un paio di eleganti pantaloni di velluto color cachi e una camicia a maniche lunghe verde bottiglia. Siamo sicuri che sia veramente un giardiniere? Indossa un paio di stivali bassi di pelle ad altezza polpaccio che nulla hanno a che vedere con i nostri stivali in gomma da giardinaggio. Ma sì, questo è Fabio, il giardiniere di Gubbio. Ha un aspetto fantastico, e pare essere appena uscito da una rivista di abbigliamento per raffinati gentlemen di campagna.
Non appena il sole fa capolino, Fabio si toglie la camicia a maniche lunghe esibendo la t-shirt fashion grigia che indossa sotto. Fabio falcia prati e pota siepi e bordure. L’erba qui sembra non avere fine e dalla casa sul crinale si allarga fino a scendere giù per il pendio su tutti i lati. Fabio intrattiene lunghe conversazioni con la donna di casa, Anna, parlando dell’attrezzatura, della benzina, di dove falciare e potare, e dove no, e di quali lavori compiere per primo.
I loro scambi di vedute sono piuttosto energici e Fabio esprime le proprie opinioni in maniera cortese ma ferma. Scuote la testa, sorride e brontola “Ah, Anna, Anna…” quando la donna non è d’accordo. Lei è serissima; Fabio è aperto, amichevole e rilassato. Una mentalità diametralmente opposta rispetto a quella piuttosto ristretta che invece Anna mi ha detto essere comune fra la gente di questa parte d’Italia.
Ho appena finito di strappare le erbacce dalle aiuole di rose e iris e mi appresto ad affrontare una ripida massicciata invasa da gramigna ed altre erbe infestanti, le cui radici si sono abbarbicate alla terra grigio-marrone. Per arrivare alle erbacce mi apro la strada fra una fitta boscaglia di arbusti, scavalcando cespugli di lavanda e rosmarino che, sfiorati dal mio corpo, pervadono l’aria del loro profumo, assieme a quello di salvia e finocchio.
Il ronzio del tosaerba di Fabio mi giunge da vicino, accompagnato dall’occasionale imprecazione che gli sfugge quando la macchina non fa il suo dovere. Mi fermo per un attimo a guardare la vallata, il bosco e il casale in lontananza, un paesaggio che sembra uscire direttamente da una pellicola d’epoca della Merchant-Ivory. Sto facendo volontariato presso un agriturismo nelle montagne Umbre, a circa 6 chilometri di strada sterrata dalla più vicina fermata dell’autobus. L’inverno sembra non finire mai e la pioggia è una presenza costante, ma la campagna è talmente verde che stare qui ti fa sentire bene.
Verso le due del pomeriggio Anna si affaccia alla finestra del piano di sopra e ci chiama per il pranzo. Si mangia pasta o risotto con fagioli, una frittata o verdure; il tutto accompagnato da pane duro e secco, insalata, formaggio, acqua minerale e, a fine pasto, un caffè. Al momento del caffè del mio primo giorno, Fabio mi dice: “Fumo? Posso’”, e immediatamente accende la sigaretta. Anna toglie di tasca il suo pacchetto di tabacco e si fa la sua sigaretta, Quant’è, penso fra me e me, che non vedo qualcuno fumare dentro casa?
A pranzo faccio sempre domande sugli animali della regione. Mi parlano di cervi, cinghiali e porcospini che lanciano i propri aculei e sono in grado di forare lo pneumatico di un quattro x quattro. Loro mi chiedono di vombati ed emu e sorridono della mia storia sugli emu che ci rubavano le salsicce dal piatto durante i barbecue nel bush.
Un giorno Fabio arriva con un trattorino con fresa rotante. Con la fresa lavora la terra dell’orto fino a renderla fine e friabile come sabbia per poi cospargerla di sacchi di concime granulare. Poi passa al terreno che circonda la piscina. Mentre attraversa il prato sopra a dove sto rastrellando fieno sul pendio, mi saluta. Poco dopo arriva e mi chiede gentilmente se lo posso aiutare.
Accanto alla piscina ha zappato la terra dove l’erba non cresceva più. Ci ha sparso il concime, distribuito i semi d’erba per prato e ora mi fa vedere come lo posso aiutare. Tutti e due abbiamo una pala e dovremo usarne il dorso per battere e compattare ogni centimetro quadro di questa dura terra Umbra. Batterla forte per portare seme e terra a stretto contatto.
Fabio mi mostra come: “Ma forte!”, dice, visto il mio primo tentativo. Allora, tento di metterci un po’ più d’impegno.
Mi lamento della terra in questa parte del mondo e Fabio mi risponde, un po’ scocciato, che è tutta un’altra cosa rispetto a quella delle mie parti; ma dobbiamo provarci comunque. Seccato gli rispondo che la terra è proprio come quella di casa mia, eccezion fatta per il colore che è rosso anziché grigio. Allora Fabio mi cita amabilmente un detto Umbro: “Quando il grillo canta, la formica mangia”. Ossia, se non battiamo la terra a dovere, le formiche divoreranno i semi entro pochi giorni. Ovviamente, il risultato dei miei sforzi deve essere impressionante, visto che Fabio si concede una pausa.
Così, continuiamo a battere la terra sotto il sole cocente, sudando, riposandoci e parlando. Dopo una mezz’oretta abbiamo finito e Fabio articola attentamente le uniche parole in Inglese che gli abbia mai sentito dire: “Thank you”, e aggiunge che se non fosse stato per me, da solo avrebbe impiegato un’ora.
A pranzo dice ad Anna che Robbi, come mi chiama, lo ha aiutato nel lavoro. “Si” dico, “ho trovato un nuovo lavoro.”. Fabio ride divertito. Mi abbandono a un sogno ad occhi aperti pensando a quanto quest’uomo sia riuscito a fare in una sola mattinata: un grande orto invaso dalle erbacce è ormai pronto per la piantagione e ha preparato, piantato e annaffiato un’ampia fetta del nuovo prato. Il tutto per 50 €. Mi preoccupo di come possa vivere e mantenere moglie e figli.
La conversazione è andata avanti: Fabio avverte Anna che se vuole seminare l’orto dovrà aspettare la luna nuova per farlo. Le piantine, invece, le può piantare subito. Discutono di come piantare e concordano che le piantine debbano essere piantate sul fondo di un solco profondo, coprendone le radici e aggiungendo terra mano a mano che crescono.
“Esiste un famoso calendario”, aggiunge Fabio, “se ne vuoi sapere di più sulle piante consociabili. Mia madre si occupa di tutta questa roba. E’ in pensione e le da qualcosa da fare. Io preparo tutto e lei se ne occupa.” Grazie a Dio c’è una madre, penso, con una buona pensione Italiana, probabilmente che può cumularsi al salario di Fabio.
Mi ricordo il motivo che mio padre citava sempre per convincerci dell’importanza dello studio: “così non dovrete lavorare al sole appoggiati a una vanga”, diceva sempre, “ma potrete, invece, lavorare comodamente al chiuso”. Un consiglio che non ha perso nulla della sua qualità nei cinquant’anni trascorsi da quando mi fu offerto per la prima volta. I miti non ereditano la terra, come mio padre sapeva fin troppo bene, piuttosto, hanno l’onore di zapparla, vangarla, e, poi, batterla con il dorso d’una pala.
La mattina della mia partenza cerco Fabio per salutarlo. Lui spegne il tosaerba, si asciuga il sudore dal viso con la sua bella maglietta e mi bacia su tutte e due le guance. Si scusa per la poca conversazione. “Ma quando si lavora fuori funziona così”.
“Ah, ma a pranzo si parlava, gli rispondo. “Tante belle cose, tante cose” mi dice. “Anche a te, Fabio”, rispondo, “Tante cose. Tante belle cose.”